Anagrafica
Mostra tuttiIstituzioni
Quella della Cina è una storia gloriosa: Impero fino al 1911, anno della rivoluzione Xinhai che, dopo la deposizione dell’Imperatore bambino Pu Yi, nel 1912 portò alla Repubblica. Gli anni successivi furono dominati dallo scontro tra le forze nazionaliste e quelle del nuovo Partito Comunista cinese che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sfociò in una vera e propria guerra civile terminata solo nel 1949 con la vittoria del Partito Comunista di Mao Zedong e la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese. Dal 1971 la Cina fa parte dell’Onu ed è membro permanente del Consiglio di Sicurezza, e nel corso degli anni è entrata poi progressivamente in numerose organizzazioni internazionali, come l’Organizzazione mondiale del Commercio, l’Asia Pacific Economic Cooperation (APEC) e, da ultimo, la Banca mondiale.
Economia
Dalla fine degli anni ’70, la Cina ha vissuto un’evoluzione da un sistema chiuso e pianificato a uno più moderno e globale, orientato al mercato. Le riforme sono state attuate in modo graduale, con conseguenti incrementi di efficienza, e hanno contribuito a una decuplicazione del PIL dal 1978, instaurando un “patto tacito” con i cittadini che, a fronte della riduzione dei diritti sociali e politici, hanno visto aumentare progressivamente il loro livello di benessere. Le riforme sono iniziate con l’eliminazione progressiva dell’agricoltura collettivizzata fino ad arrivare alla graduale liberalizzazione dei prezzi, al decentramento fiscale e all’aumento dell’autonomia per le imprese statali. La crescita del settore privato, lo sviluppo dei mercati azionari e un moderno sistema bancario e di apertura al commercio estero e agli investimenti sono stati poi stimolati dall’ingresso nell’Organizzazione mondiale del Commercio, nel 2001. La Cina è oggi una delle economie in più rapida ascesa al mondo, con una media di oltre il 7% di crescita reale all’anno, pur se l’attuale guerra commerciale con gli Stati Uniti metta a rischio il mantenimento di simili tassi di sviluppo.
Società e diritti
La Cina è il Paese più popoloso del mondo al punto che, al fine di ridurre il tasso di natalità, sono state attuate campagne di pianificazione familiare tra le quali, in particolare, la “politica del figlio unico” in vigore dal 1979 al 2015, che hanno però generato profondi squilibri nella bilancia demografica. Infatti, per effetto della tradizionale preferenza per i maschi (che tra l’altro ha intensificato la pratica dell’infanticidio femminile), il loro numero è superiore a quello delle femmine, e in forte crescita è il numero degli ultrasessantenni.
La fuga dalle zone rurali sottosviluppate ha poi influito sull’inurbamento nelle grandi aree metropolitane, che sta portando a un elevato consumo del suolo coltivabile. Dalla metà del XIX secolo, inoltre, un’elevata emigrazione ha portato numerose comunità cinesi in Asia sudorientale, America ed Europa, con una stima di oltre 50 milioni di emigrati.
Difesa e sicurezza
La Cina è considerata sia una potenziale superpotenza militare globale sia una grande potenza regionale. Seppur non esistano dati ufficiati sul numero di testate effettivamente operative, ma solo sui vettori, la Repubblica Popolare è uno degli Stati in possesso di armi nucleari e nel 1992 ha aderito al Trattato di non proliferazione. Vari organismi di monitoraggio delle potenze atomiche stimano il numero in 240, ma circolano anche cifre ben più alte.
Passato
La Cina ha una storia gloriosa: testimonianze fossili documentano che fosse già abitata fin dal Paleolitico e la prima dinastia registrata appartiene al XXI secolo a.C. Organizzata inizialmente in proto-feudalesimo, nel quale tutte le dinastie si susseguirono nel tempo al comando, l’unificazione del potere regio e del Paese sotto il dominio del re di Qin, portò alla nascita dell’Impero. Dotato di un’organizzazione burocratica, per circa mille anni diverse dinastie si susseguirono al governo dell’Impero fino a quando, nel XIII secolo d.C., le prime scorrerie mongole furono presagio della conquista subìta che, durata più di 100 anni, terminò grazie al futuro fondatore della dinastia Ming Zhu Yuanzhang, che riuscì nell’impresa riunendo sotto la sua guida le forze autoctone.
La fine della dinastia avvenne nel 1644, ad opera del ribelle Li Zicheng, che nel 1644 occupò la capitale Pechino. Tuttavia, nel giro di due decenni, la burocrazia cinese riuscì a riconquistare il Paese grazie all’aiuto dei Mancesi, fondatori della dinastia Qing e secondo popolo straniero conquistatore dell’intero territorio. La morte dell’imperatore Qianlong, gli effetti delle guerre e della decadente amministrazione e l’aumento della popolazione determinarono nel corso del 1800 un graduale impoverimento del Paese in un momento in cui l’espansionismo industriale e commerciale, soprattutto inglese, premeva fortemente per un’apertura del commercio cinese. Queste tensioni sfociarono nella prima guerra anglo-cinese, detta dell’oppio (1839-42), che si concluse quando l’Inghilterra ottenne Hong Kong e quando diversi porti furono aperti al commercio. Vent’anni dopo, il Trattato di Tianjin pose fine a una seconda guerra anglo-franco-cinese, sancendo il raddoppio dell’ammontare dell’indennità dovuta alla Gran Bretagna, l’apertura di altri porti e il diritto di reclutare manodopera cinese. La guerra cino-giapponese scoppiò poi alla fine dell’800 e nel 1912 l’ultimo Imperatore venne deposto. Dieci anni dopo, a Shangai, per iniziativa di un gruppo di intellettuali illuministi convertiti al marxismo, nacque il Partito Comunista cinese ed emissari del Comintern giunsero in Cina. Seguirono nuove divisioni e nuove guerre civili fino a quando, alla fine della Seconda guerra mondiale, il capo incontrastato del movimento comunista cinese, Mao Zedong, proclamò a Pechino la nascita della Repubblica Popolare di Cina, mentre le opposizioni nazionaliste presero il controllo di Taiwan grazie al sostegno statunitense.
Seguì un periodo di grande riforme che incise sulla vita del popolo e dell’amministrazione cinese. Anche la politica estera fu caratterizzata da una progressiva radicalizzazione in senso antimperialista, entrando peraltro in conflitto con la politica sovietica di coesistenza pacifica. Questi contrasti portarono nel 1960 al ritiro di tutti i tecnici sovietici e alla sospensione degli aiuti da parte di Mosca. I rapporti peggiorarono ulteriormente con l’avvio della “grande rivoluzione culturale proletaria”, nella metà degli anni Sessanta.
Mentre questi contrasti si acuivano, la Cina cercò sponde in Occidente, tentando un riavvicinamento agli Usa e agli altri Paesi occidentali.
Sul fronte interno, la morte di Mao Zedong nel 1976 potenziò le istanze moderate del Partito comunista, e con l’ascesa al potere di Hua Guofeng l’ala sinistra del Partito fu definitivamente sconfitta. Iniziò dunque il processo di decentramento e di liberalizzazione dell’economia, di riforma del sistema amministrativo e di profonda revisione ideologica. Ormai saldamente al potere nel partito e nello Stato, la nuova leadership cinese, moderata e tecnocratica, sviluppava così nel corso di venti anni una politica di modernizzazione del Paese, ampliando la crescita economica grazie a liberalizzazioni e aperture verso l’esterno. In questi anni ci furono vittorie anche sul fronte esterno e l’aspirazione ad arrivare a una completa riunificazione del territorio si realizzò attraverso gli accordi di restituzione di Hong Kong nel 1997 e di Macao nel 1999. Mentre avveniva un riavvicinamento con l’Urss, consentendo una ripresa degli scambi commerciali e della cooperazione tra i due Paesi, gli aiuti militari degli Usa a Taiwan acuivano i rapporti con l’Occidente.
Queste tendenze spinsero il Congresso ad approvare un nuovo progetto di riforma amministrativa che ridusse l’apparato burocratico e rilanciò la politica di liberalizzazione economica al punto da portare nel 2001 all’ingresso della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. La liberalizzazione economica fu però accompagnata dalle repressioni e dal controllo politico verso i dissidenti e verso la popolazione in generale. Da questo momento, vennero conseguiti enormi risultati in termini di crescita del PIL, superiori al 9%, che portarono la Repubblica Popolare al secondo posto nella graduatoria mondiale, dopo gli Stati Uniti.
Presente
La Cina è oggi uno dei maggiori player globali nel settore economico e finanziario, nell’ambito della sicurezza internazionale e del cyber. Anno dopo anno, Pechino sta riuscendo a imporsi come nuovo e imprescindibile attore dell’ordine mondiale. L’obiettivo principale della leadership è il mantenimento di una costante stabilità politica interna, al fine di garantire sia la sopravvivenza del regime, che dipende in larga misura dalla continua crescita economica, sia il riequilibrio dei disordini strutturali derivanti dalle politiche compiute, che sul lungo periodo potrebbero portare al collasso dell’economia.
Xi Jinping, Segretario generale del Partito Comunista Cinese, presidente della Repubblica Popolare e presidente della Commissione militare centrale, ha fatto della sua visione di un “Sogno cinese” (l’ascesa del Paese a livello militare, economico e culturale entro la metà del secolo) il marchio di fabbrica dell’amministrazione. Sotto il nuovo leader, la Cina sta subendo una trasformazione politica ed economica importante che, da un lato, ha portato grande prosperità ma che, dall’altro, ha spinto il Paese verso un’estrema centralizzazione del potere nelle mani del suo leader, il quale ha ormai indubbiamente acquisito un’autorità personale nel sistema politico cinese maggiore rispetto a qualsiasi altro leader fin dai tempi di Mao.
Le recenti azioni della Cina, comprese le rivendicazioni territoriali e le attività nei mari dell’Est e del Sud, hanno suscitato preoccupazioni e rivelato la volontà cinese di conquistare un ruolo sempre più centrale. Inoltre, dal 2015, il renminbi è stato incluso nel paniere delle riserve monetarie del Fondo Monetario Internazionale (assieme al dollaro, all’euro, alla sterlina e allo yen), offrendo al governo cinese un “seal of approval” della comunità internazionale da sfruttare a uso e consumo interno.
In Africa il ruolo cinese è assolutamente di primo piano: da anni i commerci raggiungono i 300 miliardi di dollari, offrendo 2 milioni di posti di lavoro. Già largamente partecipe alle missioni di pace dell’Onu compiute in quest’area, l’evoluzione della politica estera cinese è rilevabile nelle azioni volte alla protezione dei propri interessi: agli investimenti economici viene affiancata una tutela militare indiretta. Un importante esempio al riguardo è individuabile nel pronto annuncio da parte del governo di Gibuti, partecipe alla “Via della Seta Marittima”, della concessione di un avamposto militare a Pechino nel proprio territorio per favorire le operazioni antipirateria a tutela della rotta commerciale.
Se dalla fine degli anni ’70 la leadership politica cinese ha costantemente perseguito riforme graduali che hanno fatto del Paese la seconda economia al mondo, ciò è riuscito grazie al mantenimento di un “contratto sociale non scritto” con la popolazione, in base al quale la partecipazione politica veniva limitata in cambio della garanzia di una crescita economica costante e di un tenore di vita in rapido miglioramento. Tuttavia, questo ha iniziato a mostrare elementi di fragilità negli ultimi tempi, e nonostante l’adesione all’Organizzazione mondiale del commercio e le molteplici promesse di riforma, i tentativi di Pechino di far diventare il sistema più simile a un’economia di mercato si sono rallentati. Circa il 60% del PIL cinese è generato da imprese statali che rappresentano circa la metà del credito bancario, producendo però solo circa il 20% della produzione industriale.
La grande recessione del 2008 ha poi rappresentato un tornante per la Repubblica Popolare, ponendola di fronte a nuove importanti sfide: nell’affrontare la crisi, il governo cinese decise di immettere un pacchetto di stimoli economici del valore di 586 miliardi di dollari (Yongding, 2008) che, sebbene risultò efficace ad acquisire know-how dalle imprese occidentali attraverso il loro stesso acquisto, determinò negli anni successi un eccesso di capacità produttiva. Eccesso produttivo che, unito al rallentamento della crescita economica, agli squilibri demografici e sociali interni, all’incompiuta creazione di una classe media e di un welfare state, cerca di trovare ipotetica “salvezza” nel progetto della “Via della Seta”.
L’attuale guerra dei dazi con l’America, infine, costituisce un elemento di assoluto rilievo nell’andamento dell’economia cinese che sembra rallentare. Ai segnali distensivi sono più volte seguiti passaggi che hanno riacceso il conflitto, spostando nel futuro ogni ipotesi di risoluzione della controversia economica.
Futuro
Comprendere le origini dell’ambizione della leadership cinese nel voler trasformare la Nazione in un’economia pienamente sviluppata e moderna, in una vera potenza globale entro pochi decenni, è fondamentale per seguire la direzione della politica economica e della politica estera cinese.
Qualora Pechino riuscisse a realizzare i suoi piani, secondo molti analisti il mutamento degli equilibri geopolitici sarebbe evidente, forse anche permanente, se non estremamente duraturo. Altri analisti rilevano invece che, qualora Pechino non avesse successo, i quattro decenni di crescita impressionante potrebbero terminare, considerando sia l’instabilità del sistema economico sia le conseguenze delle politiche attuate fino ad oggi, oltre che le aspirazioni delle altre superpotenze mondiali. Resta però il fatto che Pechino sia ormai un player di assoluto rilievo, pienamente inserito in molte dinamiche che caratterizzano le vicende dei Paesi occidentali oltre che dei suoi vicini.