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Anagrafica

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Nome ufficiale: Repubblica Libanese
Capitale: Beirut
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Popolazione: 4.510.301
Superficie: 10.450 km2
Densità 6 ab/km2
Composizione etnica: Arabi (84,5%), Armeni (6,8%), Curdi (6,1%), altri (2,6%)
Lingue: Arabo, Francese, Inglese
Religioni: Musulmani (sunniti 28%, sciiti 28%), cattolici (maroniti 22%), ortodossi (8%), drusi (5%), greci cattolici (4%), altri (5%)
Aspettativa di vita: 80 anni
Tasso di natalità: 22,2 nati/1000 abitanti
Servizio militare: 18 anni, volontario
Scolarizzazione: 81,8%
Unità monetaria: Lira libanese
PIL: 52,7 miliardi di dollari
Tasso di crescita del PIL: 1,5%
Spesa militare/PIL: 39,3%
Export partners: Cina (12%), Italia (7%), Usa (6%), Germania (6%), Grecia (6%), Francia (5%)
Import partners: Arabia Saudita (10%), UAE (10%), Siria (8%), Svizzera (7%), Iraq (6%)

Istituzioni

Il Libano è una Repubblica parlamentare del Vicino Oriente, bagnata dal Mar Mediterraneo e confinante con Israele e Siria. È uno Stato molto piccolo: la sua estensione è di circa 10mila km quadrati, poco più della Basilicata.

La capitale del Libano è Beirut, città intorno a cui gravita – più o meno – metà della popolazione, che conta in totale circa 4 milioni di persone.

Il Libano è indipendente dal 1943, anche se la sovranità territoriale divenne realmente tale solo nel 1946, anno in cui le truppe francesi e inglesi abbandonarono il Paese. L’attuale sistema istituzionale si regge sulla Costituzione approvata nel 1926, modificata nel 1943 e nel 1989. Esso è definibile come sistema semipresidenziale, poiché il presidente della Repubblica (non eletto dalla popolazione) divide il potere esecutivo con il Primo ministro; il presidente è eletto ogni sei anni dall’Assemblea nazionale (Majlis al-Nuwab) composta da 128 deputati, che detiene il potere legislativo ed è eletta a suffragio universale ogni 5 anni (l’età minima per esercitare il diritto di voto è 21 anni).

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Dal 25 maggio 2014, data di fine mandato del presidente Michel Suleiman, la carica è rimasta vacante e la funzione è stata ricoperta ad interim, per un paio di anni, dal primo Ministro sunnita Tammam Salam insieme con il suo Gabinetto (scelto dal Primo ministro in consultazione con il presidente e con l’Assemblea nazionale).

Il Parlamento non è riuscito a raggiungere un accordo su un nuovo presidente fino all’ottobre del 2016, quando è stato eletto un ex generale cristiano, Michel Aoun, e poco dopo Saad Hairiri ha ricevuto l’incarico di Primo ministro. Di fatto, la situazione di stallo non si è del tutto sbloccata, e infatti il Parlamento ha approvato nell’estate del 2017 una nuova legge elettorale con la quale sarà possibile andare al voto.

 

L’aspetto più importante di tutta l’impalcatura istituzionale libanese è senza dubbio la sua natura confessionale: in Libano, difatti, l’appartenenza religiosa di ogni singolo cittadino è il principio ordinatore della rappresentanza politica, nonché il cardine del sistema giuridico. Tale struttura deriva dalla prima modifica costituzionale, quella del 1943, quando tramite il “Patto nazionale” si decise – in seguito a un compromesso politico – di distribuire le massime cariche dello Stato equamente ai tre principali gruppi religiosi, così da arginare il forte settarismo e la rivalità per la conquista del potere. Di conseguenza, da allora, le cariche sono così ripartite: il presidente della Repubblica è cristiano maronita, il Primo ministro è sunnita, il presidente del Parlamento è sciita.

Dal 2011, a seguito della guerra civile siriana, si è tuttavia riacutizzato lo scontro settario libanese che vede le fazioni sunnite sostenere i ribelli siriani, e quelle sciite, in particolare la milizia Hezbollah, sostenere anche militarmente il governo di Damasco. Lo sconfinamento della guerra civile siriana in Libano ha coinvolto anche i grandi centri urbani, tra cui Beirut, Sidone e Tripoli, dove si sono verificati scontri armati, rapimenti e attentati. Dal 2012 ad oggi, le Forze armate libanesi hanno fatto da interposizione tra i contendenti.

Il sistema delle leggi civili deriva da un conglomerato tra il codice civile francese, la legge tradizionale ottomana e leggi impartite dalla religione che riguardano lo stato personale, il matrimonio e altri rapporti familiari delle comunità cristiane, islamiche ed ebraiche.

Per quanto riguarda il rapporto con gli altri Stati, il Libano non ha aderito alla ICJ jurisdiction declaration.

Lo Stato riconosce ufficialmente 18 confessioni, le due maggiori sono quella musulmana (54%) e quella cristiana (40%). La lingua ufficiale è l’arabo, mentre la seconda lingua è il francese.

Economia

Il Libano ha un’economia di libero mercato inserita in una tradizione commerciale marcatamente liberista. Il governo non pone freni agli investimenti stranieri, anche se questi non sono agevolati dal contesto di corruzione, dalla burocrazia elefantiaca, dalla legislazione inadeguata e dalle alte tasse e tariffe. I principali mercati, decisivi per la crescita economica, sono quello bancario e quello turistico.

In seguito alla guerra civile, il Paese ha dovuto ricostruire gran parte delle infrastrutture fisiche e finanziarie distrutte, e l’operazione comportò un pesante indebitamento con le banche domestiche: il Libano ha oggi il quarto debito più alto (in rapporto al PIL) di tutto il mondo.

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La guerra del 2006 e la successiva fase di incertezza politica hanno generato tensioni interne e rallentato la crescita economica del Paese, che si è assestata tra l’1 e il 2% dopo quattro anni con media di sviluppo dell’8%. Il rallentamento della crescita, di conseguenza, limita le possibilità di raccolta fiscale, mentre le spese per gli interessi sul debito continuano a essere ingenti: ne deriva l’impossibilità, per il governo, di attuare gli investimenti necessari, come quelli infrastrutturali (acqua, elettricità e trasporti soprattutto).

L’economia libanese, ovviamente, risente dell’influenza del conflitto siriano, soprattutto per il fatto che più di un milione di rifugiati siriani hanno “invaso” il mercato interno: se è vero che i rifugiati siriani hanno prodotto un aumento dell’offerta di lavoro, è altrettanto vero che hanno spinto molti libanesi in stato di disoccupazione, forte soprattutto tra i giovani.

 

La guerra, ovviamente, ha inferto un duro colpo alle attività produttive libanesi, in particolare ai settori dell’agricoltura e dell’allevamento; di conseguenza, le zone rurali hanno perso popolazione, impoverendosi ulteriormente. Nello specifico, per quanto riguarda il comparto agricolo, le principali colture sono quelle di ortaggi (patate, pomodori e cipolle), di cereali (in particolare grano, orzo e mais), di vite e agrumi. I famosi cedri, un tempo fiore all’occhiello del Libano, sono quasi scomparsi, vittime della riduzione generale delle foreste.

Per quanto riguarda il settore minerario, sono da segnalare alcuni giacimenti di ferro, sale e gesso.

Anche il contesto manifatturiero ha subìto gravi perdite, soprattutto in termini di dimensioni delle imprese: ciò ha influito sui principali comparti, ossia quello agroalimentare, quello tessile (in particolare a Tripoli e Beirut) e quelli della lavorazione del petrolio e del tabacco.

Nel complesso, la bilancia commerciale è in deficit. Le principali esportazioni riguardano l’oro (560 miliardi di dollari americani), i derivati del petrolio (300 miliardi di dollari), le componenti elettriche (260 miliardi di dollari). Il ruolo di Banca Centrale è esercitato dalla Banque du Liban; la moneta è la lira libanese. L’Italia è tra i primi partner commerciali del Libano e contribuisce all’11,2% delle importazioni complessive del Paese.

Società e diritti

Il Libano possiede un’apprezzata e ammirevole diversità religiosa, soprattutto considerando il contesto regionale di riferimento. Se, infatti, alcuni Stati vicini sono devastati da violenze settarie oltre che politiche, la situazione in Libano è invece amichevole. Generalmente, le persone sono libere di praticare la propria religione, e nel Paese non esiste persecuzione religiosa. Soprattutto, il Libano è riuscito a tenere unita la società in modo trasversale rispetto alle linee religiosi, contrastando l’estremismo. Tutti questi risultati non possono comunque essere dati per scontati.

Il Governo dovrebbe prendere iniziative per migliorare un problema che permane, ossia quello del confessionalismo politico, che porta a usare la religione come biglietto di ingresso per posizioni politiche e sociali di rilievo.

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È certamente da elogiare l’azione libanese di apertura dei confini e di messa a punto di politiche di accoglienza che per anni hanno riguardato i rifugiati palestinesi, iracheni e siriani, ospitati in numero superiore ai due milioni.

Tuttavia, è molto grave che la legge che ne regola l’ingresso, la permanenza e l’uscita risalga al 1962, e non distingua tra richiedenti asilo, rifugiati e migranti. Inoltre, ci sono molti casi riportati su matrimoni forzati con donne (anche bambine) rifugiate, nonché su persone il cui status è sconosciuto.

Ci sono poi altre due grandi questioni da risolvere. Una riguarda la mancanza di risorse finanziarie e di occupazione che influiscono sulle deplorevoli condizioni di vita dei rifugiati, e che rischiano di incoraggiarli a tornare al loro Paese di origine; l’altra è la lentezza nel garantire la documentazione che permetta di cercare lavoro e accedere ai servizi essenziali senza correre il rischio di essere arrestati.

Difesa e sicurezza

In merito alla sicurezza interna e alle principali dispute regionali che vedono coinvolto il Libano, c’è ovviamente da sottolineare la crisi siriana, che acuisce il problema relativo alla mancanza di accordi o documentazione regolatoria sulla situazione dei confini condivisi tra Libano e Siria: dal 2000 il Libano reclama l’area delle Shab’a Farms nell’altura del Golan, occupata da Israele. Si è già detto dell’enorme problema dei rifugiati: quasi 500mila palestinesi, più di 7000 iracheni, oltre un milione di siriani. Sono presenti anche molti IDP (Internally displaced persons): 12 mila, stando ai dati forniti nel 2015. La presenza di campi profughi, specialmente palestinesi e siriani, che di fatto costituiscono entità separate rispetto al resto del Paese, rappresenta un fattore critico di instabilità.

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Con il crollo dell’Impero ottomano a causa della sconfitta subìta nella Prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni affidò la Grande Siria (in cui erano comprese le cinque province che oggi compongono il Libano) alla Francia, il cui protettorato venne definito nella Conferenza di Sanremo. La Francia adottò un sistema di governo del territorio definito “divide et impera”, decidendo di separare il Libano dalla Siria per agevolarne il controllo, data la marcata componente cristiana che distingueva i libanesi dal resto dei vicini mediorientali: perciò, nel 1920 venne istituito il protettorato francese del Grande Libano, che nel 1926 cambiò nome in Repubblica Libanese (in occasione dell’indipendenza), per diventare infine Repubblica parlamentare autonoma il 22 novembre 1943, anno in cui venne modificata la Costituzione in senso confessionale.

Fino al momento dell’indipendenza, il Paese fu scosso da periodi di tumulti politici e instabilità, inframezzati da periodi più prosperi garantiti dalla posizione strategica per il commercio.

Negli anni Quaranta si svilupparono varie correnti nazionaliste arabe che però non giunsero mai ai risultati sperati, non riuscendo a unire sunniti, sciiti e cristiani. Il fallimento di questo nazionalismo si dovette all’incapacità degli Stati e delle tribù di unirsi e di creare un vero fronte arabo.

L’organizzazione che si fece portatrice dell’identità araba fu il Bath, fondato sull’idea di una comunità araba che lotta contro il colonialismo. Dichiaratosi socialista, nella metà degli anni Quaranta il Bath venne sciolto – come pure gli altri partiti – dopo il colpo di Stato di Shishakli. La ripresa si sarebbe avuta con l’avvento di Nasser in Egitto e con il suo desiderio di ricreare un mondo arabo, che avrebbe riacceso gli animi nazionalisti anche in Siria.

Nel frattempo, nel 1948 la Gran Bretagna abbandonò il Medio Oriente (Londra esercitava un mandato, grosso modo, su Iraq, Giordania e Israele/Palestina), e gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato d’Israele, riconosciuto immediatamente da Russia e Usa.

Fino agli anni Settanta, il Libano sarebbe stato interessato di riflesso dagli eventi che scossero ripetutamente i rapporti tra Israele e il mondo arabo, divenendo per esempio luogo di rifugio per le varie organizzazioni palestinesi che colpivano gli israeliani.

Nel 1975, però, proprio il piccolo Stato mediterraneo fu al centro delle cronache internazionali: scoppiò infatti la guerra civile. Una guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1989, causata e fomentata dalle rivalità interne: da una parte la comunità sciita, povera e in aumento, che chiedeva il riconoscimento di diritti e opportunità; dall’altra i cristiani, che si volsero alla destra; infine i palestinesi, che erano riusciti a trasferire nel teatro libanese il loro desiderio revanscista contro Israele. In sintesi: i cristiani erano contro i musulmani e i palestinesi, e gli sciiti – non favorevoli al riavvicinamento con Israele – preferivano la Siria.

Proprio la Siria nel ’76 appoggiò la parte musulmana, che perse così autonomia.

Tra il ’77 e il ’78 si ebbe la separazione tra musulmani e cristiani nella città di Beirut, nel ’79 il maggiore cristiano Haddad proclamò il Libano Stato libero e indipendente. Nel 1982 ci fu una svolta, con l’invasione israeliana del Paese (operazione “Pace di Galilea”) che portò alla nascita di Hezbollah, gruppo terroristico molto vicino agli sciiti iraniani che puntava a creare uno Stato islamico di stampo khomeinista per promuovere la difesa degli oppressi e attaccare Israele, “inaugurando” la propaganda del martirio. L’obiettivo israeliano era quello di frenare la guerriglia palestinese, per poter poi annettere la West Bank: gli israeliani si allearono con i cristiani libanesi, avversi ai musulmani.

I massacri della guerra fecero inorridire il mondo, e Begin fu costretto ad aprire un’inchiesta. Tra 1982 e il 1984, fu addirittura necessario l’intervento di una forza multilaterale, che coinvolse Stati Uniti, Francia e Italia. Il 23 ottobre 1983 un duplice attentato di Hezbollah alle basi americana e francese (episodio che diventerà l’incipit del celebre romanzo di Oriana Fallaci, “Insciallah) provocò 297 morti.

Dal 1983 Israele iniziò l’evacuazione e dal 1985 si limitò a controllare la striscia di sicurezza del Libano.

Nel 1989 gli Accordi di Ta’if posero fine alla guerra civile, riequilibrando i poteri istituzionali, meno concentrati nelle mani del presidente della Repubblica (cristiano), a favore delle fazioni sciita e sunnita.

Con la pace ripresero lentamente la vita e l’economia libanese, mentre Hezbollah si istituzionalizzò come un vero e proprio partito politico. Anche per questo, il fazionismo religioso è sembrato in diminuzione. Il ritiro definitivo di Israele si sarebbe avvenuto solo nel 2000.

Recentemente, nel 2006, si sono registrate ulteriori tensioni, dovute all’invasione israeliana (seconda guerra israelo-libanese) nel sud del Paese: il conflitto, durato solo 34 giorni, è stato una rappresaglia israeliana seguita alla cattura di due soldati da parte di Hezbollah, e si è concluso con la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha imposto il disarmo di Hezbollah e il ritiro dei militari israeliani (quest’ultimo effettuato, mentre il disarmo è stato rifiutato dal governo libanese).

Nel 2008 è stato eletto un nuovo presidente, il generale cristiano-maronita Michel Suleiman, il cui mandato è terminato il 25 maggio 2014. Dopo una fase di crisi governativa durata oltre due anni, nel 2016 è stato eletto capo dello Stato Michel Aoun e capo del governo Saad Hairiri.

Passato

Con il crollo dell’Impero ottomano a causa della sconfitta subìta nella Prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni affidò la Grande Siria (in cui erano comprese le cinque province che oggi compongono il Libano) alla Francia, il cui protettorato venne definito nella Conferenza di Sanremo. La Francia adottò un sistema di governo del territorio definito “divide et impera”, decidendo di separare il Libano dalla Siria per agevolarne il controllo, data la marcata componente cristiana che distingueva i libanesi dal resto dei vicini mediorientali: perciò, nel 1920 venne istituito il protettorato francese del Grande Libano, che nel 1926 cambiò nome in Repubblica Libanese (in occasione dell’indipendenza), per diventare infine Repubblica parlamentare autonoma il 22 novembre 1943, anno in cui venne modificata la Costituzione in senso confessionale.

Fino al momento dell’indipendenza, il Paese fu scosso da periodi di tumulti politici e instabilità, inframezzati da periodi più prosperi garantiti dalla posizione strategica per il commercio.

Negli anni Quaranta si svilupparono varie correnti nazionaliste arabe che però non giunsero mai ai risultati sperati, non riuscendo a unire sunniti, sciiti e cristiani. Il fallimento di questo nazionalismo si dovette all’incapacità degli Stati e delle tribù di unirsi e di creare un vero fronte arabo.

L’organizzazione che si fece portatrice dell’identità araba fu il Bath, fondato sull’idea di una comunità araba che lotta contro il colonialismo. Dichiaratosi socialista, nella metà degli anni Quaranta il Bath venne sciolto – come pure gli altri partiti – dopo il colpo di Stato di Shishakli. La ripresa si sarebbe avuta con l’avvento di Nasser in Egitto e con il suo desiderio di ricreare un mondo arabo, che avrebbe riacceso gli animi nazionalisti anche in Siria.

Nel frattempo, nel 1948 la Gran Bretagna abbandonò il Medio Oriente (Londra esercitava un mandato, grosso modo, su Iraq, Giordania e Israele/Palestina), e gli ebrei proclamarono la nascita dello Stato d’Israele, riconosciuto immediatamente da Russia e Usa.

Fino agli anni Settanta, il Libano sarebbe stato interessato di riflesso dagli eventi che scossero ripetutamente i rapporti tra Israele e il mondo arabo, divenendo per esempio luogo di rifugio per le varie organizzazioni palestinesi che colpivano gli israeliani.

Nel 1975, però, proprio il piccolo Stato mediterraneo fu al centro delle cronache internazionali: scoppiò infatti la guerra civile. Una guerra che si sarebbe conclusa solo nel 1989, causata e fomentata dalle rivalità interne: da una parte la comunità sciita, povera e in aumento, che chiedeva il riconoscimento di diritti e opportunità; dall’altra i cristiani, che si volsero alla destra; infine i palestinesi, che erano riusciti a trasferire nel teatro libanese il loro desiderio revanscista contro Israele. In sintesi: i cristiani erano contro i musulmani e i palestinesi, e gli sciiti – non favorevoli al riavvicinamento con Israele – preferivano la Siria.

Proprio la Siria nel ’76 appoggiò la parte musulmana, che perse così autonomia.

Tra il ’77 e il ’78 si ebbe la separazione tra musulmani e cristiani nella città di Beirut, nel ’79 il maggiore cristiano Haddad proclamò il Libano Stato libero e indipendente. Nel 1982 ci fu una svolta, con l’invasione israeliana del Paese (operazione “Pace di Galilea”) che portò alla nascita di Hezbollah, gruppo terroristico molto vicino agli sciiti iraniani che puntava a creare uno Stato islamico di stampo khomeinista per promuovere la difesa degli oppressi e attaccare Israele, “inaugurando” la propaganda del martirio. L’obiettivo israeliano era quello di frenare la guerriglia palestinese, per poter poi annettere la West Bank: gli israeliani si allearono con i cristiani libanesi, avversi ai musulmani.

I massacri della guerra fecero inorridire il mondo, e Begin fu costretto ad aprire un’inchiesta. Tra 1982 e il 1984, fu addirittura necessario l’intervento di una forza multilaterale, che coinvolse Stati Uniti, Francia e Italia. Il 23 ottobre 1983 un duplice attentato di Hezbollah alle basi americana e francese (episodio che diventerà l’incipit del celebre romanzo di Oriana Fallaci, “Insciallah) provocò 297 morti.

Dal 1983 Israele iniziò l’evacuazione e dal 1985 si limitò a controllare la striscia di sicurezza del Libano.

Nel 1989 gli Accordi di Ta’if posero fine alla guerra civile, riequilibrando i poteri istituzionali, meno concentrati nelle mani del presidente della Repubblica (cristiano), a favore delle fazioni sciita e sunnita.

Con la pace ripresero lentamente la vita e l’economia libanese, mentre Hezbollah si istituzionalizzò come un vero e proprio partito politico. Anche per questo, il fazionismo religioso è sembrato in diminuzione. Il ritiro definitivo di Israele si sarebbe avvenuto solo nel 2000.

Recentemente, nel 2006, si sono registrate ulteriori tensioni, dovute all’invasione israeliana (seconda guerra israelo-libanese) nel sud del Paese: il conflitto, durato solo 34 giorni, è stato una rappresaglia israeliana seguita alla cattura di due soldati da parte di Hezbollah, e si è concluso con la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha imposto il disarmo di Hezbollah e il ritiro dei militari israeliani (quest’ultimo effettuato, mentre il disarmo è stato rifiutato dal governo libanese).

Nel 2008 è stato eletto un nuovo presidente, il generale cristiano-maronita Michel Suleiman, il cui mandato è terminato il 25 maggio 2014. Dopo una fase di crisi governativa durata oltre due anni, nel 2016 è stato eletto capo dello Stato Michel Aoun e capo del governo Saad Hairiri.

Presente

La presenza libanese nello scacchiere diplomatico internazionale è particolarmente intensa ed equilibrata.

Innanzitutto, bisogna dire che il Libano figura tra i Paesi fondatori dell’Onu, essendone membro dal 24 ottobre 1945. Inoltre, fa parte del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (il mandato terminerà nel 2018). Ma è dalla partecipazione ad altre organizzazioni o movimenti internazionali che si può caratterizzare il posizionamento internazionale libanese.

In primis dalla partecipazione al Movimento dei Non-Allineati, insieme ad altri 114 Paesi, realtà nata a Bandung (Indonesia) nel 1955 in segno di distinzione nel contesto bipolare della Guerra fredda, che oggi rappresenta soprattutto le istanze dei Paesi in via di sviluppo. I valori principali sono quelli della resistenza alle pressioni delle maggiori potenze, conservando la propria indipendenza, e l’opposizione al colonialismo e al neo-colonialismo, specialmente quello di marca occidentale.

Inoltre, c’è la chiara partecipazione alle istituzioni del mondo arabo, concentrata essenzialmente nella Lega delle Nazioni Arabe, nata il 22 marzo 1945 dall’iniziativa di Libano, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Iraq e Siria, con scopo quello di sconfiggere il colonialismo, e nell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, fondata a Rabat il 25 settembre 1969, in rappresentanza della voce e degli interessi del mondo musulmano.

Infine, il Libano è anche un Paese membro del Gruppo dei 77, istituito formalmente il 15 giugno 1964 al termine della prima sessione della Conferenza sul commercio e lo sviluppo delle Nazioni Unite.

Da segnalare, inoltre, il fatto che attualmente è in vigore un accordo di libero scambio con l’Unione europea.

Si può poi caratterizzare la politica internazionale libanese non solo dal punto di vista attivo, ossia sul lato dell’impegno nei vari palcoscenici mondiali, ma anche da quello passivo, guardando al Libano come oggetto di “attenzioni” altrui. In questo caso si deve fare riferimento al Tribunale Speciale per il Libano e all’UNIFIL (acronimo inglese per Forza ad Interim delle Nazioni Unite in Libano).

Il Tribunale Speciale per il Libano è stato inaugurato il 1° marzo 2009 a Leidschendam, in Olanda. Il quartier generale è all’Aja, ma è presente anche un ufficio a Beirut. Il suo mandato è quello di processare coloro che sono ritenuti colpevoli dell’attacco che il 14 febbraio 2005 uccise 22 persone, tra cui l’allora primo Ministro Rafik Hariri.

L’UNIFIL, invece, è stata istituita in accordo alle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le numero 425 e 426 del 19 marzo 1978. Tra gli scopi: confermare il ritiro delle forze israeliane dal Libano meridionale, garantire la pace e la sicurezza internazionale, assistere il governo libanese nel ripristino della sua autorità effettive. A ciò, l’11 agosto 2006 la Risoluzione 1701 ha aggiunto i compiti di monitoraggio della cessazione delle ostilità, supporto nel dispiegamento delle truppe libanesi nel sud del Paese, assistenza umanitaria durante il rimpatrio dei rifugiati.

 

Futuro

Ancora oggi, si registra un alto livello di disoccupazione, specialmente tra i giovani e le donne, inclusi i laureati, anche a causa dell’arrivo di un enorme flusso di rifugiati. Già prima del loro arrivo, tuttavia, il numero di posti di lavoro creati annualmente era di molto inferiore al numero di nuovi lavoratori in ingresso nel mercato del lavoro. Nel 2018 il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il 21,3%.

È indispensabile, dunque, affrontare le cause strutturali della disoccupazione, rivedere i programmi universitari rendendoli adatti adeguati agli attuali bisogni del mercato del lavoro, investire sull’educazione di alto livello, assicurandosi che si traduca in opportunità di lavoro; infine, è auspicabile la rimozione delle barriere discriminatorie che rendono molto difficile per i rifugiati l’accesso al mercato del lavoro.

Il salario minimo non è stato revisionato dal 2012: considerando che il tasso di inflazione – al 2015 – è aumentato del 30%, si capisce come questo sia un problema considerevole.

La corruzione è pervasiva e produce considerevoli perdite di risorse necessarie per implementare i servizi essenziali. La mancanza di trasparenza e di un effettivo controllo sugli affari pubblici, come pure il nepotismo e il clientelismo, screditano la politica e le maggiori cariche sociali e civili.

Bisogna assicurare la trasparenza negli affari istituzionali facendo informazione e permettendo un uso trasversale delle risorse pubbliche, inclusi i fondi ricevuti dalla cooperazione internazionale. Inoltre, bisogna assicurare il controllo dei meccanismi pubblici, così come la responsabilità degli uffici statali e delle cariche pubbliche.

Infine, è necessario accelerare l’adozione dei disegni di legge sulla lotta alla corruzione, nonché aumentare la consapevolezza tra i politici, i membri del Parlamento e gli ufficiali riguardo ai costi economici e sociali della corruzione stessa.