LIBIA
Anagrafica
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Ottenuta l’indipendenza nel 1951, l’ordinamento statale libico vive oggi una fase di travagliata transizione, a seguito della guerra civile scoppiata nel 2015. Sono due i governi che si spartiscono il potere esecutivo nel Paese in questo delicato frangente: quello di Tripoli, sostenuto da una coalizione internazionale e guidato dal premier Fāyiz al-Sarraj, unico esecutivo riconosciuto dall’Onu, e quello di Tobruk, di fatto controllato dal generale Khalifa Haftar, che non riconosce la legittimità del governo di Tripoli.
Economia
L’economia libica, quasi del tutto dipendente dalle esportazioni di petrolio e gas, ha sofferto recentemente delle conseguenze dovute alla guerra civile scoppiata nel 2015 e al calo mondiale dei prezzi del petrolio: gli scontri tra fazioni rivali per il controllo dei giacimenti petroliferi hanno provocato una drastica riduzione della produzione di greggio che non è poi riuscita a risollevarsi, se non raggiungendo un terzo della produzione pre-guerra civile di 1,6 milioni di barili al giorno. Tra le altre criticità economiche, il pagamento da parte della Banca Centrale dei salari dei lavoratori e dei sussidi per benzina e cibo ha causato un deficit di bilancio stimato nel 49% del PIL nazionale.
Società e diritti
Negli ultimi trent’anni la popolazione è raddoppiata in termini numerici per effetto dell’elevata natalità e, a partire dagli anni Sessanta, in conseguenza dei forti flussi migratori. Le regioni aride e desertiche del Fezzan, nel sud del Paese, sono popolate – in larga misura – da tribù berbere nomadi (Tuareg) e seminomadi. La Libia è uno dei principali canali di transito dell’emigrazione africana diretta verso le coste dell’Italia meridionale, in particolar modo dopo la fine del regime dittatoriale di Gheddafi nel 2011.
Difesa e sicurezza
Con l’epilogo della “primavera araba” libica, il Paese passa sotto l’amministrazione del Consiglio Nazionale di un governo di transizione, organo esecutivo ad interim che ha guidato la fase tra la guerra civile e le nuove elezioni tenutesi il 7 luglio 2012. In quel contesto si è formato un Congresso nazionale di 200 membri presieduto da un nuovo Primo ministro. Il 14 febbraio 2014 il generale Khalifa Haftar ha richiesto lo scioglimento del Consiglio, a seguito di una legge promossa dal presidente Nuri Busahmein che prevedeva l’applicazione di una variante della Sha’ria.
Passato
L’Italia, tra il settembre 1911 e l’ottobre 1912, occupò il territorio libico dopo una guerra di stampo coloniale contro il decadente Impero Ottomano, conquistando le regioni della Tripolitania e della Cirenaica, Fezzan e, nel Mar Egeo, il Dodecaneso. Con la firma del Trattato di Losanna, nel 1923, la Turchia rinunciò a ogni rivendicazione sulla Libia, riconoscendola come colonia italiana.
L’Italia mantenne il suo dominio fino al 1943, anno in cui, sconfitta dalle forze alleate nella Seconda guerra mondiale, fu costretta a cedere tutte le colonie. Dal 1943 al 1951 il Paese si ritrovò sotto l’occupazione militare franco-britannica, durata fino al raggiungimento dell’indipendenza nel 1951. Il 1° settembre 1969 il colonnello Mu’ammar al-Qadhāfī depose con un colpo di Stato militare il sovrano Mohammed Idris-al-Senussi e proclamò la Repubblica. Il regime instaurato da Gheddafi (Qadhāfī), il quale si autoproclamò “guida della Rivoluzione”, prevedeva l’abolizione dei partiti politici e delle elezioni e un sistema politico-giudiziario frutto di una combinazione tra socialismo e Islam. Il 2 marzo 1977, con riforma costituzionale, il nome del Paese fu cambiato in “Jamāhīrīyah”, ovvero Repubblica “araba libica popolare socialista”.
Durante gli anni ’70, attraverso i proventi petroliferi, Gheddafi promosse all’estero l’ideologia del regime, finanziando fronti armati (l’Ira nell’Ulster, l’Olp in Palestina, il Fronte Polisario nel Sahara Occidentale, Frolinat in Ciad) e attività terroristiche. Si ricorda l’abbattimento di due aerei di linea, uno in Scozia e uno in Nord Africa, e un attentato dinamitardo in una discoteca di Berlino. Negli anni ’80 nei cieli libici si verificarono una serie di scontri aerei tra l’aviazione di Gheddafi e quella americana.
Nel 1981 due mig libici vennero abbattuti dalla marina americana nel Golfo della Sirte, nel 1986 l’aviazione americana bombardò alcune case di Tripoli con lo scopo di uccidere Gheddafi, provocando invece la morte della figlia minore. Si ipotizza che la stessa strage civile di Ustica sia un “effetto collaterale” degli scontri militari di quegli anni.
Nel 1988 la Libia rispose con un attentato su un aereo di linea della PanAm, che precipitò a Lockerbie in Scozia, provocando la morte di 270 persone, tra cui 189 americani. Di fronte al rifiuto libico di estradare i terroristi ritenuti responsabili dell’azione perché fossero giudicati da un tribunale scozzese, le Nazioni Unite comminarono sanzioni economiche e politiche al regime di Gheddafi, isolando la Libia nel contesto internazionale.
Nel 1999 il Colonnello acconsentì a che i sospetti fossero estradati, dando inizio a un graduale disgelo diplomatico, specialmente con i Paesi europei e quelli africani, e al progressivo venir meno delle sanzioni.
Il 15 maggio 2006 gli Stati Uniti riaprirono l’ambasciata americana a Tripoli. Un’ondata di dissenso verso il regime di Gheddafi, iniziata nel 2010, esplose nelle città libiche nel febbraio 2011. Dopo quasi un mese di scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, che spesso soffocarono le rivolte nel sangue, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1973 istituì una no-fly zone sui cieli libici, autorizzando l’intervento militare aereo da parte di alcuni Paesi che si registrò a partire dal marzo 2011.
Il 21 ottobre cadde l’ultima roccaforte lealista, Sirte, nella quale Gheddafi si era asserragliato dall’agosto dello stesso anno. Il colonnello venne intercettato e catturato mentre il suo convoglio si dirigeva nel deserto. Gheddafi venne ucciso nel corso di un’esecuzione sommaria assieme al figlio Mutassim Gheddafi e al ministro della Difesa, Abu Bakr Yunis Jabr: i tre corpi vennero esposti al pubblico nella città di Misurata.
Con l’epilogo della “primavera araba” libica, il Paese finì sotto l’amministrazione del Consiglio Nazionale di un governo di transizione, organo esecutivo ad interim che ha guidato la fase tra la guerra civile e le nuove elezioni, tenutesi il 7 luglio 2012. Si è insediato in quell’occasione un Congresso Nazionale composto da 200 membri e presieduto da un nuovo Primo ministro. Il 14 febbraio 2014 il generale Khalifa Haftar ha richiesto lo scioglimento del Consiglio a seguito di una legge promossa dal presidente Nuri Busahmein che prevedeva l’applicazione di una variante della Sha’ria.
Il 16 maggio Haftar ha lanciato l’Operazione Dignità attaccando per via aerea e terrestre la città di Tripoli. Le milizie di Zintan, alleate di Haftar, hanno attaccato due giorni dopo il Parlamento di Tripoli, chiedendone lo scioglimento. Il Congresso è stato sostituito, in seguito alle elezioni del 25 giugno 2014, da una Camera dei Rappresentanti composta sempre da 200 deputati. La fase successiva ha visto l’esplosione della seconda guerra civile libica, contrapponendo le milizie di Haftar fedeli al governo di Tobruk all’esecutivo di Tripoli sostenuto dalla coalizione di Alba Libica. Dall’ottobre 2014 la situazione ha conosciuto un’ulteriore complesso passaggio dopo che i miliziani affiliati allo Stato islamico dell’ISIS hanno assunto il controllo prima di Derna e poi di Sirte.
Presente
La Libia è sostanzialmente divisa in tre parti: la Tripolitania a ovest, la Cirenaica a est e il Fezzan a sud. Il tentativo della comunità internazionale di instaurare a Tripoli un governo di unità nazionale, attualmente guidato da Fayez al-Serraj, si scontra con le resistenze di altre fazioni, in particolare con quella del generale Khalifa Haftar che guida il governo libico di Tobruk e che ha recentemente dichiarato di aver completamente riconquistato Bengasi, scacciandone i terroristi dell’ISIS.
Il problema principale risiede nel fatto che al-Serraj non ha un vasto e solido controllo del territorio, come invece sembra avere Haftar: da qui deriva la difficoltà degli attori internazionali di individuare un interlocutore che possa realmente rappresentare la Libia.
La priorità dell’Europa è oggi quella di cercare di “sigillare” il confine libico meridionale, nella speranza di limitare i flussi di migranti che salpano verso l’Italia. Si tratta di un obiettivo che richiede una reale unità delle istituzioni libiche, senza la quale ogni tentativo rischia di risultare velleitario. La via diplomatica rimane, nonostante tutte le enormi difficoltà, il solo canale realisticamente percorribile per giungere a una ricomposizione del Paese.
Futuro
Il futuro istituzionale della Libia è di difficile previsione data l’estrema instabilità politica dell’area. Al-Serraj non può vantare un controllo effettivo del territorio libico: la stessa Tripolitania, in cui ha sede il suo governo appoggiato dalla comunità internazionale, nasconde tutt’oggi insidie (il 12 gennaio 2017 è stato sventato un improbabile tentativo di colpo di Stato da parte dell’islamico Khalifa Ghwell).
L’Onu sembra assumere consapevolezza della debolezza di al-Serraj e dell’assoluta necessità di trovare una via al dialogo con il vero uomo forte del momento in Libia: Khalifa Haftar. Il generale dispone di una milizia di ben 30.000 uomini (da lui definita “esercito nazionale libico”), esercita una potente influenza sul governo di Tobruk, controlla ormai tutta la zona costiera, dal confine egiziano fino al terminal di Sidra, vicino a Sirte, e da poco ha riconquistato una parte della città di Bengasi, in Cirenaica, strappandola all’organizzazione terroristica islamica Ansar al-Sharia. Il generale guadagna inoltre consensi sul piano internazionale: ha un canale preferenziale con la Russia (nel novembre 2016 ha incontrato a Mosca il ministro degli Esteri Lavrov e quello della Difesa Shoigu), con la quale, secondo indiscrezioni pubblicate dal sito Middle East Eye, pare esserci in ballo un accordo sui rifornimenti militari in cambio dell’accesso garantito al Cremlino ai porti e aeroporti della Cirenaica. Haftar ha inoltre rafforzato l’asse con la Francia e gode di un occhio di riguardo da parte dell’Egitto di al-Sisi, mentre sul fronte interno ha ottenuto la fiducia di alcune tribù nel sud del Paese. La posizione di indiscussa forza e il controllo esercitato sulla Cirenaica, una regione che ospita il 70% delle riserve petrolifere libiche, fanno di Haftar un interlocutore non solo indispensabile, ma anche obbligato per Tripoli e per la coalizione internazionale che supporta il governo di al-Serraj.
Tra l’aprile e il maggio 2019, il grande caos libico ha conosciuto una nuova drammatica evoluzione, a seguito del tentativo di accerchiamento e di conquista di Tripoli da parte delle truppe del generale Haftar. Questi recenti sviluppi hanno dimostrato la totale inconsistenza dell’ultimo summit diplomatico, organizzato e promosso dall’Italia nel novembre 2018, per la promozione del dialogo e della pace tra i due principali attori libici. Il rischio sempre più crescente di una “somalizzazione” della Libia lascia aperti numerosi scenari, certamente poco luminosi per uno Stato che ha vissuto una cruenta guerra civile nell’ultimo decennio.