TURCHIA
Anagrafica
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Il 28 agosto 2014 Recep Tayyip Erdoğan ha vinto in maniera netta, con il 52% dei consensi, le prime elezioni presidenziali nella storia del Paese, visto che fino a quel momento l’elezione del presidente spettava al Parlamento. Già in precedenza, Erdoğan aveva guidato il governo turco come Primo ministro dal 2003 al 2014, in quanto capo del partito di maggioranza nel Parlamento monocamerale della Turchia. Infatti, con la revisione costituzionale del 1982 il potere legislativo è di competenza esclusiva della “Grande Assemblea Nazionale Turca”, composta da 550 membri eletti a suffragio universale ogni quattro anni con metodo proporzionale e soglia di sbarramento al 10%. Nel sistema politico turco è presente inoltre una Corte costituzionale – il cui compito principale è quello di giudicare la legittimità e la costituzionalità delle leggi – i cui membri sono nominati dal presidente, e una Corte d’appello, eletta dal Consiglio supremo dei giudici e procuratori.
Economia
Tra il 2012 e il 2014 due fattori hanno rallentato fortemente la crescita economica: le diminuzioni della domanda interna da un lato e il livello delle esportazioni dall’altro. Inoltre, nel 2014 sono stati aumentati significativamente i tassi di interesse per rafforzare la valuta del Paese e, di conseguenza, ridurre drasticamente l’inflazione. Nel 2015 è avvenuto esattamente il contrario: dopo un primo trimestre sotto le aspettative, si è deciso di abbassare i tassi di interesse per favorire la ripresa economica.
Società e diritti
Il 76% circa della popolazione è di origine turca. I curdi, un gruppo etnico concentrato soprattutto nelle province a sud-est del Paese, rappresentano la più grande minoranza etnica dello Stato, stimata attorno al 18%. I tre principali gruppi ufficialmente riconosciuti come minoranze etniche (per il Trattato di Losanna) sono quelli degli armeni, dei greci e degli ebrei. Uno scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia ebbe luogo nel 1923: quasi 1,5 milioni di ortodossi passarono dalla Turchia alla Grecia e circa 500.000 musulmani provenienti dalla Grecia si spostarono verso la penisola anatolica. Altri gruppi etnici presenti in Turchia sono: abcasi, albanesi, arabi, assiri, bosniaci, georgiani, bulgari, rom.
Difesa e sicurezza
Le Forze armate turche rappresentano il secondo più grande contingente della Nato, dopo quello statunitense, con una forza combinata di poco più di un milione di unità effettive. La Turchia è considerata la più forte potenza militare della regione del Vicino Oriente, oltre a Israele. Ogni cittadino maschio turco, fisicamente abilitato, è tenuto a prestare servizio militare per un periodo che va dalle tre settimane ai quindici mesi, in base al livello di istruzione e alla posizione lavorativa. La Turchia non riconosce l’obiezione di coscienza e non offre un’alternativa civile al servizio militare.
Passato
Nel 1920, a seguito della sconfitta bellica e della dissoluzione dell’Impero ottomano, con la firma del Trattato di pace di Sèvres la Turchia fu costretta a cedere parte della penisola anatolica e la regione della Tracia allo Stato greco. Tuttavia, già da un anno il revanscismo turco si era incarnato nella figura del generale Mustafa Kemal (1881-1938), conosciuto successivamente con il nome di Atatürk (Padre dei Turchi), che era diventato il leader indiscusso dei rivoluzionari turchi contro i nazionalisti greci nella guerra greco-turca (1919-1922). La vittoria turca e la ratifica del Trattato di Losanna nel 1923 segnarono la nascita della moderna Turchia. Deposto il sultano Maometto VI (1922), Mustafa Kemal divenne nell’ottobre del 1923 il primo presidente della neonata Repubblica turca, e ricoprì la carica fino al 1938 assieme a quella di presidente del Partito Popolare Repubblicano. Il repubblicanesimo dettato da Atatürk era di chiaro stampo autoritario, essendo fondato sul partito unico. Il Partito Popolare Repubblicano restò infatti l’unica formazione politica legale nel Paese fino al 1946, mentre nel 1950 si tennero le prime elezioni democratiche della storia turca. Da giovane ufficiale dell’esercito e membro dei “Giovani turchi”, ad eroe della Patria nella guerra greco-turca, Atatürk fu il padre della neonata Repubblica turca. Il kemalismo – l’ideologia repubblicana e profondamente laicista di Atatürk – cambiò radicalmente la struttura politico-culturale della Turchia. Egli si impegnò in una profonda opera di occidentalizzazione e laicizzazione dello Stato: fece introdurre il suffragio universale, proibì l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (la legge fu abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP di Erdogan), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del Fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi “alla turca” per i militari. La visione riformatrice kemalista procedette di pari passo con il processo di secolarizzazione della Nazione turca. Era infatti nota l’avversione di Atatürk nei confronti della religione islamica, e questo spiega il ruolo assegnato nella Costituzione kemalista all’esercito, per la salvaguardia della laicità contro possibili colpi di mano da parte di movimenti di matrice islamica, al punto da prevedere anche il ricorso a colpi di Stato da parte dei militari (ciò che si è verificato più volte nella storia recente della Turchia). Tale sistema di “autodifesa” scattò nel 1960, quando le Forze armate con un golpe rovesciarono il governo del Partito Democratico, e Celâl Bayar, presidente della Repubblica turca, venne arrestato insieme al Primo ministro Adnan Menderes e ad altri membri del Partito Democratico e del governo. Seguirono anni di grande incertezza politica e istituzionale, da molti definita come l’epoca della “strategia della tensione”. Tutto ciò rappresentò una buona causa per un nuovo golpe militare che si concretizzò nel 1980. Il generale Kenan Evren instaurò un regime autoritario dal 1980 al 1982, modificando la Costituzione con la reintroduzione di un sistema parlamentare monocamerale. Lo stesso Evren venne eletto presidente della Repubblica nel 1982, mantenendo la carica fino al 1989.
Se la figura più rilevante della storia turca nel ’900 è senza dubbio quella di Atatürk, la figura politica più importante – e anche più controversa – del nuovo secolo è certamente quella di Erdoğan. Già famoso a livello nazionale come sindaco di Istanbul, Erdoğan fu condannato nel 1998 a tre anni di reclusione per incitamento all’odio religioso, dopo aver declamato in un discorso pubblico alcuni versi dello scrittore e poeta turco Ziya Gökalp: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati (…)”. Scontata la pena in carcere, Erdoğan fondò il Partito della giustizia e della Libertà (Akp) di chiara ispirazione islamico-conservatrice. Nelle elezioni del novembre 2002 il Partito della giustizia e della Libertà ottenne una vittoria schiacciante, assicurandosi 363 seggi in Parlamento: questo permise ad Erdoğan di andare a ricoprire la carica di Primo ministro. Se la base del nazionalismo di Mustafa Kemal furono il laicismo e il secolarismo, quello di Erdoğan, invece, si è fondato su una fortissima politicizzazione della religione islamica.
Presente
La Turchia ha fatto grandi passi in avanti soprattutto nel decennio che va dal 2002 al 2012. Sono state compiute molte riforme per soddisfare i requisiti per l’adesione all’Unione europea (l’ingresso della Turchia è stato approvato in linea di principio dal Parlamento europeo nel 2004; i successivi negoziati, cominciati nel 2005, stanno procedendo a rilento per motivazioni di politica interna ed estera). Vi sono state importanti riforme economiche, come le privatizzazioni dell’apparato industriale che nei decenni passati era quasi del tutto in mano allo Stato, ma si potrebbero citare altre azioni politiche importanti, come l’implementazione del sistema sanitario, la realizzazione di grandi opere pubbliche, forme di redistribuzione della ricchezza. La classe dirigente turca ha effettivamente compiuto una serie di riforme, in termini formali e anche sostanziali, della struttura socio-economica del Paese. Dal 2013 in poi, la politica “neo-ottomana” che già si prefigurava negli anni precedenti ha avuto indubbiamente maggiore spazio. Questo perché Erdoğan e il suo gruppo dirigente hanno capito che potevano assumere un ruolo decisivo nelle logiche del riequilibrio politico del Grande Medio Oriente. Per fare ciò, Erdoğan ha forzato i tempi, dando il via a una svolta autoritaria del suo governo, accentrando sempre più poteri nelle proprie mani e in quelle del suo partito.
Sul fronte interno, tuttavia, la vera spina nel fianco per Erdoğan resta la questione dell’indipendentismo curdo, che ha avuto momenti di grande tensione tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016. L’ultimo atto della guerra intestina tra il regime di Erdoğan e il fronte di opposizione al suo governo – minoranza curda e soprattutto le alte sfere dell’Esercito – si è consumato nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016, quando una parte delle Forze armate si è resa protagonista di un tentativo di colpo di Stato per rovesciare il governo. Molti analisti hanno sollevato dubbi sulla reale genuinità del golpe, ipotizzando un’operazione false flag per legittimare ulteriori restrizioni alle libertà civili e una serie di purghe sulla magistratura e sull’esercito. Queste riflessioni, per quanto legittime, hanno bisogno di riscontri storici, che si possono verificare solo sul lungo periodo. Si devono invece analizzare gli effetti immediati del fallito golpe sullo stravolgimento dei quadri dirigenziali della pubblica amministrazione e delle Forze armate. Quindi è ragionevole pensare che il colpo di Stato sia nato dal fatto che i quadri dirigenziali dell’Esercito fossero venuti a conoscenza delle liste di proscrizione che l’apparato governativo aveva già preparato. È stato l’ultimo tentativo dell’Esercito per non essere colpito dalle epurazioni che erano state già previste. Certo, non si parla tanto dei soldati, quanto piuttosto dei gruppi dirigenti. Anche perché la reazione dei militari “di truppa” è stata flebile, quasi inesistente, soprattutto se confrontata con la piazza mobilitata da Erdoğan in così breve tempo. La reazione dell’autorità governativa non si è fatta attendere e ha stravolto l’assetto dell’apparato burocratico-amministrativo del Paese.
Futuro
La situazione che la Turchia sta affrontando oggi è una di quelle situazioni che difficilmente potranno essere risolte in poco tempo. Le forze militari, per evitare altri problemi all’interno, probabilmente eviteranno nuove sfide. Inoltre, molti magistrati e professori sono stati allontanati dal loro incarico ed è difficile che l’intero contesto turco torni alla normale operatività in breve tempo. Quali saranno le conseguenze del colpo di Stato in riferimento alla Turchia come alleato militare all’interno della Nato?
Si potrebbe provare a rispondere a questa domanda dicendo che tra Nato e Turchia è sempre intercorsa una stretta relazione d’interdipendenza, con entrambi gli attori che non possono fare a meno l’uno dell’altro.
La Turchia, infatti, ha rappresentato un baluardo indispensabile nella lotta contro l’Isis. L’Europa, dal canto suo, non ha certo dimenticato la complessa situazione esistente prima dell’accordo con Ankara sui migranti. Sul versante della politica interna, il progetto politico di Erdoğan è comunque minato dall’indipendentismo della minoranza curda, stanziata principalmente nelle regioni sud-orientali del Paese. Il partito politico, nonché gruppo paramilitare, dei Curdi è il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan). In Turchia il Pkk è una forza illegale, in quanto è stato riconosciuta come organizzazione terroristica per i suoi metodi di lotta (da anni i militanti ricorrono ad attentati dinamitardi per rispondere alla repressione del governo centrale nei confronti del popolo curdo). In tal senso devono essere interpretate le attività militari delle truppe di Erdogan al confine con la Siria, volte a scongiurare sul nascere le speranze di edificazione di uno Stato curdo in Medio Oriente, che potrebbe vedere la luce in conseguenza del grande prestigio ottenuto dalle milizie curde durante la guerra contro l’ISIS.