Balcani occidentali
Introduzione
Nel cuore del continente europeo esiste una macro regione che stenta ad andare al passo con gli sviluppi di integrazione, sia economici che politici, degli altri Paesi. Sono i Balcani occidentali, quell’area all’interno della più ampia penisola balcanica, che ancora oggi vede purtroppo divise, ma soprattutto in contrapposizione, diverse nazioni dalla dissoluzione della Repubblica della Iugoslavia nei primissimi anni ’90.
Dalla morte di Tito, infatti, nel 1980, i sentimenti nazionalisti, presenti nella federazione iugoslava, cominciarono ad emergere con sempre più insistenza. Le guerre iugoslave che insanguinarono la penisola balcanica per diversi anni, prima in Slovenia e in Croazia, poi nei territori della Bosnia ed Erzegovina, in Kosovo e infine in Macedonia (oggi Macedonia del Nord), furono mosse soprattutto da esigenze indipendentiste e di superamento della visione federalista iugoslava. I diversi nazionalismi infiammarono quasi tutti gli Stati della regione in quel periodo e tuttora la rendono piuttosto instabile.
La situazione attuale infatti non è tra le più rosee: le animosità politiche ed economiche prevalgono ancora rispetto ai tentativi di riconciliazione e di integrazione. La crisi mondiale che ha caratterizzato gli ultimi anni ha caratterizzato in maniera forte sia le relazioni all’interno dei vari Paesi dei Balcani occidentali, sia quelle inter-statali.
Sono in molti ad accomunare molti aspetti della situazione odierna con quelli tipici della storica ‘questione d’Oriente’. Quando l’Impero Ottomano, dal 18esimo secolo in poi, cominciò la fase di decadenza che lo portò a perdere i territori dei Balcani con le guerre del 1912-1913, le grandi potenze misero gli occhi sulla regione e i nazionalismi locali iniziarono a crescere al suo interno.
In effetti sono diverse le dinamiche che possono essere assimilate tra le due situazioni: i confini tra gli Stati, sono in molti casi, contesi o discussi e le tensioni politiche interne, specialmente riguardanti minoranze etnico-religiose, non accennano a diminuire. Nei Balcani di oggi, inoltre, si mescolano gli interessi delle grandi potenze mondiali alle varie istanze di indipendenza e all’autodeterminazione dei popoli, come successe più di un secolo fa.
Interessi geo-strategici
Stati Uniti, Cina, Russia ma anche Turchia, hanno dimostrato in più di un’occasione di essere interessate a penetrare economicamente, in maniere diverse, nella regione balcanica. L’Europa, specialmente negli ultimi tempi, pur rimanendo il bacino commerciale preferito e privilegiato dagli stati balcanici, ha probabilmente perso un po’ di interesse nelle relazioni con quest’area. E’ per questo che i Balcani sono visti un po’ come dei vicini dimenticati all’interno del continente.
La Russia ha storicamente dei legami culturali ed economici molto forti con alcuni dei paesi della zona, la Serbia in primis. Belgrado ha sempre cercato di rimanere in equilibrio tra Mosca e Bruxelles, ma soprattutto nelle recenti occasioni geopolitiche che hanno visto protagonista la Russia, come il caso Skripal o la crisi in Crimea, si è sempre schierata a favore di Mosca. E’ un’alleanza, o comunque un’amicizia, che fa comodo ad entrambi i Paesi: alla Russia perchè necessita di un forte appoggio nel continente europeo, alla Serbia perchè il sostegno economico che Mosca le fornisce è essenziale.
In Bosnia-Erzegovina la situazione è più complicata. Sicuramente non sono pochi i collegamenti tra l’entità territoriale della Repubblica di Srpska, a maggioranza serba, e la Russia. Invece le componenti dei bosgnacchi musulmani e dei croati non vedono di buon occhio le ingerenze russe sui loro territori; il Paese infatti non ha un’univocità quando c’è bisogno di esprimere degli interessi nazionali, e questo porta ad ulteriori divisioni.
Sicuramente la Russia è stata abile a sfruttare dei periodi della storia in cui sia gli Stati Uniti sia soprattutto l’Unione Europea, non sono riusciti a trainare ed integrare i Balcani. Mosca ha discreti vantaggi ad oggi nella zona, un margine di manovra piuttosto ampio, inoltre sta sviluppando una rete di gasdotti nella penisola che vanno ad interessare anche paesi europei, come la stessa Italia.
Altra potenza, che magari non viene annoverata tra le più grandi, ma che ha storicamente forti interessi nell’area è la Turchia. Oltre ai residui culturali che in molte zone dei Balcani ha lasciato a seguito della dominazione ottomana, oggi ha molti legami specialmente con le regioni musulmane. Inoltre sono stati forti gli investimenti economici dall’inizio del nuovo millennio, indirizzati al rafforzamento delle infrastrutture, aeroporti e autostrade su tutte, ma anche alla promozione culturale turca nella zona.
Quest’ultimo fattore ha fatto storcere il naso alle componenti balcaniche non musulmane, preoccupati da questa aggressività politica proveniente da Ankara. Se la Russia, come visto, storicamente trova l’appoggio della Serbia, il paese di riferimento della Turchia è sempre stata la Bosnia-Erzegovina.
La Turchia inoltre, soprattutto grazie al recente avvicinamento internazionale tra il presidente Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin, ha avuto la possibilità di scongelare i rapporti proprio con la Serbia, stringendo delle relazioni politiche relativamente salde.
L’inizio degli interessi degli Stati Uniti sui Balcani risalgono all’epoca della Guerra Fredda, in cui la Jugoslavia di Tito era un attore difficilmente controllabile che si muoveva tra il blocco sovietico e quello occidentale. Tito, maresciallo comunista, con la Jugoslavia guidava quei Paesi che non si allinearono tra i due blocchi e per questo motivo attirava l’attenzione da parte degli USA.
Attualmente gli USA, con l’amministrazione Trump, hanno interesse nel vedere integrati maggiormente i paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea. Così facendo infatti l’intera regione sarebbe più ostile all’inserimento degli investimenti russi, cinesi e turchi. Oltre all’integrazione nell’Unione, gli USA spingono molto affinchè diverse nazioni entrino a far parte dell’Alleanza Atlantica. Il Montenegro è entrato nel 2017, mentre il processo di adesione della Bosnia-Erzegovina e della Macedonia del Nord è in corso.
La potenza mondiale più recente che si è interessata alla penisola balcanica è la Cina. Negli ultimi anni la potenza cinese è salita alla ribalta per la sua aggressività economica, ma non solo, capace di penetrare con investimenti diretti in ogni zona del mondo, dall’America Latina fino in Africa, passando per l’Europa ed il Medio Oriente. Con il suo progetto strategico e geopolitico della Nuova Via della Seta, con il quale intende collegare sia per mare che per terra la Cina con l’Occidente europeo, Pechino sta investendo pesantemente nella costruzione di infrastrutture che dal porto del Pireo in Grecia conducano all’Europa centrale.
Sicuramente per le economie dei Paesi dei Balcani gli investimenti cinesi sono necessari e troppo importanti per poterli rifiutare. Per l’Unione Europea però, permettere che una regione dello stesso continente europeo venga di fatto penetrata in maniera così ampia e considerevole dalla Cina, non è ne vantaggioso nè strategicamente utile.
Unione Europea e Balcani
Abbiamo visto, con una breve panoramica, come i grandi attori globali abbiano interessi nella penisola balcanica, in particolar modo nei Balcani occidentali. Bisogna però citare quello che, a tutti gli effetti, dovrebbe essere il protagonista esterno principale: l’Unione Europea. Dovrebbe perché se le altre potenze sono riuscite ad infiltrarsi nella regione, è stato anche e soprattutto a causa di una negligenza da parte dell’Ue.
Con il tempo infatti sono state adottate politiche non sempre consone, le quali non si sono rivelate particolarmente utili ed in linea con l’obiettivo finale, ovvero la piena integrazione della penisola balcanica. Bisogna però dire che anche alcune politiche degli stessi Stati della regione spesso sono state inadeguate per raggiungere i criteri minimi per una piena adesione nell’Ue. Questo obiettivo sarebbe un successo per entrambe le parti, d’altronde i Balcani occidentali sono in una posizione strategica per l’Unione e per tutto il continente europeo.
Abbiamo detto inizialmente che l’Ue ha perso col tempo interesse nella regione, che probabilmente però ha riacquisito a seguito della crisi recente dei rifugiati lungo il corridoio balcanico, tra il 2015 e il 2016. Ad oggi rimane la principale fonte di investimenti diretti nell’area, e anche il principale partner commerciale sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni, con largo distacco dagli altri soggetti.
I Paesi della zona che fanno parte dell’Unione Europea sono la Slovenia dal 2004, la Romania e la Bulgaria dal 2007, e la Croazia dal 2013. La Bosnia-Erzegovina e il Kosovo sono potenziali paesi candidati all’adesione mentre il Montenegro, la Serbia, la repubblica di Macedonia del Nord e l’Albania sono candidati ufficiali.
I due Stati che sono più avanti nel processo sono Serbia e Montenegro. Quest’ultimo nel 2017 è entrato a far parte della NATO e sta compiendo dei progressi notevoli per raggiungere gli standard europei. Nonostante questo, in Montenegro per esempio sono limitate molte libertà fondamentali, come per esempio la stessa proprietà privata, e ciò ostacola in maniera importante il processo democratico.
Purtroppo i parlamenti nazionali non sempre sono capaci di controllare il lavoro dei governi, e si rivelano istituzioni piuttosto deboli; ma in generale, in tutta l’area il concetto dello stato di diritto non è molto solido. Sono avvenute molte manifestazioni di piazza per protestare contro le situazioni singole nazionali. In particolare in Serbia, dove negli ultimi mesi la libertà di espressione e dei media ha subito vistosi peggioramenti.
Si è parlato di involuzione democratica nella regione, con il progressivo riemergere di nazionalismi e di tendenze fortemente autoritarie. Sicuramente queste dinamiche rischiano di riaccendere questioni irrisolte e sopite da tempo, tra gli Stati e tra le stesse componenti delle popolazioni. Le minoranze etnico-religiose si trovano, in alcuni casi, ad essere ancora discriminate e perseguitate. Un’adesione all’Ue sarebbe un’enorme passo avanti nel processo di normalizzazione e di democratizzazione dei Balcani occidentali.
La Macedonia del Nord è quella che in proporzione, negli ultimi tempi, ha fatto registrare i progressi più importanti. Il cambio della denominazione ufficiale del Paese (da Macedonia a Macedonia del Nord) rientra in questa linea, necessaria a dirimere la disputa greco-macedone e quindi ad agevolare una possibile adesione, oltre che all’Unione Europea, alla NATO.
Papa Francesco, nella sua visita a Skopje del maggio del 2019, ha esaltato la composizione multietnica e multireligiosa della popolazione macedone, capace di far convivere sia diverse religioni che diverse etnie in maniera pacifica. Il Papa ha auspicato che questo tipo di integrazione si sviluppi e si realizzi in tutta la regione dei Balcani occidentali, rispettando le diversità e i diritti fondamentali.
Nel 1999 è stato avviato il processo di stabilizzazione e associazione (PSA), il quale rappresenta il quadro strategico a sostegno del graduale riavvicinamento dei paesi dei Balcani occidentali all’Unione Europea. Questo processo si basa su relazioni bilaterali, dialoghi politici, relazioni commerciali e cooperazione regionale. Quest’ultimo punto è uno degli obiettivi chiave del PSA.
La collaborazione dei paesi della regione balcanica in molti settori, come per esempio la lotta contro la criminalità organizzata, le questioni transfrontaliere, le azioni penali per i crimini di guerra e le dinamiche migratorie, è fortemente ricercata dall’Ue.
La NATO e i Balcani
Oltre all’Unione Europea, c’è un’altra organizzazione che ha ricoperto un ruolo politico e militare molto importante nei Balcani occidentali nella storia recente: l’Alleanza Atlantica.
La NATO è intervenuta con varie missioni di peacekeeping, ma anche di carattere militare, durante gli anni ’90, a seguito della dissoluzione della Repubblica Federale Iugoslava e durante i processi di indipendenza che hanno portato alla creazione degli stati attuali.
I Balcani occidentali sono stati il teatro in cui per la prima volta nella storia della NATO, l’Alleanza ha usato la forza. In due situazioni diverse, la prima in Bosnia Erzegovina durante la guerra civile, tra il 1992 e il 1995, per impedire i bombardamenti serbi sui bosgnacchi e croati; la seconda in Kosovo, nel 1999, per porre fine alle tremende violenze in corso tra l’etnia serba e la minoranza etnica albanese.
Ad oggi le missioni NATO presenti sui territori dei Balcani hanno come obiettivo quello di arrivare ad una stabilizzazione delle diverse aree che nel recente passato sono stati e di aiuto per il rafforzamento e il mantenimento della pace, con diverse migliaia di uomini e donne che agiscono soprattutto in Bosnia Erzegovina ed in Kosovo.
Le attività dell’Alleanza Atlantica hanno senza ombra di dubbio favorito la pacificazione dell’area, permettendo ad alcune minoranze etnico-religiose di liberarsi da persecuzioni e violenze atroci che dalla fine della Repubblica Iugoslava avevano dilaniato intere regioni.
Purtroppo però, soprattutto in Serbia, paese duramente colpito dalle missioni NATO, la percezione dell’Alleanza tra la popolazione è ancora oggi molto negativa. Sicuramente è per questo, e anche per un’affinità culturale, che la Serbia è il paese, tra quelli dei Balcani occidentali, più vicino alla Russia, e quindi in contrapposizione rispetto alla NATO.
Ci vorrà del tempo per risanare le ferite nella memoria dei serbi e per fargli credere nella NATO, ma nel frattempo l’organizzazione Atlantica e la Serbia hanno iniziato a collaborare in diversi ambiti, come l’addestramento congiunto di forze militari in Iraq. I Paesi che invece sono più vicini all’Alleanza Atlantica, e anche ad una possibile adesione futura, sono la Macedonia del Nord e la Bosnia Erzegovina.
Scenari futuri
I Balcani occidentali devono trovare la via della normalizzazione e della stabilizzazione nel prossimo futuro. Una crescita e uno sviluppo delle economie locali sarebbe sicuramente vantaggioso nel processo comune, così come il totale rispetto delle minoranze etnico-religiose frammentate in tutto il territorio. I nazionalismi (ri)emergenti devono trovare ferma opposizione da parte di tutte le istituzioni, senza che vengano intercettati ed usati per fini politici da governi disposti a tutto.
Una vera e completa integrazione nell’Unione Europea sarebbe di enorme aiuto per tutti i Balcani occidentali. I valori e gli obiettivi dell’Ue, condivisi fortemente dalla gran parte dei paesi balcanici, sarebbero così un ostacolo importante da superare per le grandi potenze mondiali che tentano di penetrare nei territori della penisola con lo scopo di coltivare i propri interessi economici e geopolitici.