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Anagrafica

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Nome ufficiale: Federazione Russa
Capitale: Mosca
Superficie: 17.098.242 km2
Densità 8,3 ab/km2
Confini: Azerbaigian, Bielorussia, Cina, Estonia, Finlandia, Georgia, Kazakistan, Corea del Nord, Lettonia, Lituania, Mongolia, Norvegia, Polonia, Ucraina
Popolazione: 142.122.776 (2018)
Composizione etnica: Russi (77,7%), Tatari (3,7%), Ucraini (1,4), Ciuvasci (1%), Bashkiri (1%), altri
Forma di governo: Federazione semipresidenziale
Lingue: Russo
Religioni: Russi ortodossi (15-20%), Musulmani (10-15%), altre confessioni cristiane (2%)
Aspettativa di vita: 71,3 anni
Tasso di natalità: 10,7 nati/1000 abitanti
Servizio militare: 18 anni, obbligatorio
Scolarizzazione: 96,5%
Unità monetaria: Rublo
PIL: 1578 miliardi (2017)
Tasso di crescita del PIL: 1,5% (2017)
Debito pubblico/ PIL: 15,5% (2017)
Export partners: Cina (10,9%), Olanda (10%), Germania (7,1%), Bielorussia (5,1%), Turchia (4,9%) – (2017)
Import partners: Cina (21,2%), Germania (10,7%), USA (5,6%), Bielorussia (5%), Italia (4,5%), Francia (4,2%) – (2017)

Istituzioni

La Federazione russa è una Repubblica semipresidenziale a struttura federale: il presidente è eletto a suffragio universale e nomina il Primo ministro, il quale deve però godere anche della fiducia del Parlamento. Il presidente non può essere eletto per più di due volte consecutive. Il suo mandato, in seguito alla riforma entrata in vigore dalle elezioni del 2012, è stato esteso da quattro a sei anni.

Il Parlamento federale ha struttura bicamerale. È composto dalla Duma (la Camera bassa), formata da 450 deputati ed eletta a suffragio universale ogni quattro anni, e dal Consiglio federale, costituito da 166 senatori eletti in maniera indiretta dalle Assemblee locali.

Secondo la Costituzione, il Paese è composto da ottantacinque soggetti federali, compresa la Repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli, la cui recente istituzione è contestata a livello internazionale e indicata come annessione illegale.

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I soggetti federali sono raggruppati in nove distretti, ciascuno amministrato da un inviato nominato dal presidente della Repubblica. A differenza dei soggetti federali, i distretti non sono un livello subnazionale di governo, ma un livello di amministrazione del governo federale. Gli inviati ai distretti federali fungono da collegamento tra i soggetti e il governo e sono i primi responsabili della supervisione della conformità tra le leggi.

 

In base all’articolo 114 della Costituzione russa, al governo sono attribuite svariate funzioni:

  • elabora e presenta alla Duma il bilancio federale e provvede alla sua esecuzione;
  • presenta alla Duma il rendiconto sull’esecuzione del bilancio federale;
  • assicura l’attuazione di un’unica politica finanziaria, creditizia e monetaria;
  • assicura l’attuazione di un’unica politica statale nell’ambito della cultura, della scienza, dell’istruzione, della salute, della previdenza sociale e dell’ambiente;
  • realizza provvedimenti per assicurare la difesa nazionale, la sicurezza e la gestione della politica estera della Federazione Russa;
  • adotta le misure per assicurare il rispetto della legalità, dei diritti e delle libertà dei cittadini, nonché la tutela della proprietà e dell’ordine pubblico.

 

Negli anni Novanta, sotto la presidenza di Boris El’cin (1991-1999), la Russia dovette affrontare una grave frammentazione politica interna. Tra il 1993 e il 1999 nessun partito riuscì a formare una maggioranza stabile e quasi la metà delle leggi approvate in questo periodo provenivano da proposte governative. Ritenuto responsabile del collasso finanziario del Paese, El’cin si dimise a fine dicembre del 1999, lasciando l’incarico ad interim a Vladimir Putin, già Primo ministro dall’agosto di quell’anno. Alla vigilia dello scoppio della seconda guerra cecena, Putin, già agente della polizia segreta sovietica, trovò nella crisi nel Caucaso settentrionale uno strumento utile a rilanciare il ruolo della presidenza federale, proponendosi come nuovo punto di riferimento nel panorama politico-istituzionale e come leader capace di ricostruire l’identità nazionale russa dopo un decennio di crisi. Il ritrovato sostegno dell’opinione pubblica fu sancito dall’esito delle elezioni del maggio 2000, che gli affidarono la guida del Paese.

La riabilitazione della figura e della carica del presidente della Federazione russa, ricoperta da Putin tra il 2000 e il 2008, ha avuto come effetto quello di stabilizzare il Paese dal punto di vista interno e di eclissare, di fatto, il ruolo dei Primi ministri. Putin ha inoltre coniato il concetto di “democrazia sovrana”, che postula il diritto russo di adottare una forma di democrazia diversa da quella occidentale, persino autoritaria nei suoi risvolti pratici, caratterizzati da paternalismo, centralismo e ruolo del leader. Nel 2007 Putin ha fondato un nuovo partito, “Russia unita”, che alle elezioni parlamentari di quello stesso anno ha conquistato il 70% dei seggi della Duma, sancendo l’egemonia del presidente nell’attuale scenario politico. La continuità politica alla presidenza della Federazione è stata assicurata, nel 2008, con l’elezione di Dmitrij Medvedev, delfino di Putin. Quest’ultimo ha da quel momento ricoperto il ruolo di Primo ministro.

 

Con le elezioni legislative del dicembre 2011, il partito “Russia unita” ha ribadito il suo predominio, seppur parzialmente indebolito: ha mantenuto la maggioranza, ottenendo 238 seggi a fronte dei 212 dell’opposizione. Le elezioni presidenziali tenutesi il 4 marzo 2012 hanno registrato una larga vittoria di Putin, con il 63% dei voti. Ciononostante, rispetto all’elezione del 2007 e come per la Duma, la percentuale degli elettori a favore del candidato di “Russia unita” è diminuita di circa otto punti.

Nel settembre 2016 si sono tenute le elezioni per la Camera bassa (Duma), con la nuova legge elettorale in vigore dal 2015: un sistema elettorale misto che prevede l’assegnazione di metà dei seggi sulla base di un sistema proporzionale e l’altra metà attraverso collegi uninominali. Anche in questo caso si è registrata una vittoria schiacciante del partito del presidente Vladimir Putin. La nuova Duma è costituita dagli stessi quatto partiti presenti nella legislatura precedente: Russia unita (54,21%), il Partito Comunista della Federazione Russa (13,35%), il Partito Liberal-Democratico (13,16%), il Partito socialdemocratico Russia Giusta (6,21%).

Nel marzo 2018 Vladimir Putin è stato eletto per la quarta volta presidente della Federazione Russa.

 

Economia

In termini di PIL nominale, la Russia è al 15º posto mondiale e al 6º come potere d’acquisto. A partire dall’inizio del XXI secolo, l’alto consumo interno e una maggiore stabilità politica hanno sostenuto lo sviluppo economico e nel 2008 il Paese ha chiuso il suo nono anno consecutivo di crescita, sperimentando però subito dopo un rallentamento dovuto al calo del prezzo del petrolio e del gas.

Lo Stato mantiene il controllo dei settori trainanti dell’economia, in primis quello petrolifero (con l’espansione della controllata Rosneft rispetto alla Yukos), ma anche quello bancario e degli armamenti, mentre le imprese straniere giocano ancora un ruolo molto limitato nel Paese.

Dalla fine del 2013 c’è stato un periodo di stagnazione in concomitanza con la guerra dell’Ucraina orientale e si corre il pericolo di entrare in stagflazione, ossia crescita lenta e alta inflazione.

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La produttività agricola è diminuita rispetto all’epoca sovietica, anche se è in ripresa. La vulnerabilità rispetto al clima fa sì che il suolo agricolo rappresenti il 32% del totale, mentre il 45% del territorio è ricoperto da foreste che producono legname, uno dei principali beni di esportazione.

L’industria estrattiva è molto sviluppata ma, in generale, la Russia ha ereditato una base industriale tecnologicamente arretrata e orientata a processi di trasformazione a basso valore aggiunto. Inoltre, il tessuto industriale è costituito prevalentemente da grandi imprese, mentre servizi finanziari e turismo sono tra i principali comparti del terziario.

Dall’ottobre 2013 all’ottobre 2014 il rublo russo è crollato del 24%, entrando nel livello in cui la Banca centrale potrebbe valutare un intervento per rafforzare la moneta. Inoltre, dopo essersi attestata sul 3,6% nel 2012, l’inflazione in Russia è salita a quasi il 7,5% nel 2015, inducendo la Banca centrale ad aumentare il tasso di interesse dal 5,5% all’8%.

Il Paese possiede le maggiori riserve mondiali di gas naturale, le ottave più grandi riserve di petrolio, classificandosi inoltre al secondo posto per quanto riguarda le riserve di carbone.

 

 

L’attuale interdipendenza energetica tra Russia ed Europa ha trasformato una parte dei Paesi fuoriusciti dall’ex Unione Sovietica o facenti parte dell’ex Patto di Varsavia in Stati di transito per gasdotti e oleodotti diretti verso ovest. Sebbene il greggio possa essere trasportato anche attraverso petroliere, il commercio del gas è infatti ancora in vasta misura “rigido”, cioè legato alla trasmissione attraverso gasdotti. La posizione strategica di questi Paesi ha dunque permesso loro di strappare prezzi minori rispetto a quelli di mercato. Malgrado ciò, la loro pressoché totale dipendenza dalle importazioni energetiche della Russia (in primo luogo di gas), ha permesso a Mosca di utilizzare la minaccia o l’effettivo blocco delle forniture per spingere verso la risoluzione di divergenze che fino a quel momento rimanevano irrisolte.

L’utilizzo politico della minaccia di interruzione delle forniture è stato un tratto costante delle politiche russe dell’ultimo decennio, tanto da aver aumentato il senso di insicurezza energetica dei Paesi dell’Europa occidentale, che vedono in pericolo la stabilità dei loro approvvigionamenti. Inoltre, il progressivo indebitamento dei Paesi clienti è stato spesso ripianato con la cessione della loro rete infrastrutturale alle compagnie russe.

Società e diritti

La libertà di religione è garantita dalla Costituzione russa, ma in realtà è sottoposta ad alcune limitazioni. Un esempio su tutti è quello del gruppo dei Testimoni di Geova, discriminati perché considerati una setta religiosa. La stragrande maggioranza dei russi è non credente o non praticante.

La corruzione è tradizionalmente diffusa, soprattutto nella pubblica amministrazione e negli organi di polizia. La Russia, infatti, si classifica come il secondo Paese più corrotto in Europa (dopo l’Ucraina), secondo l’indice di percezione della corruzione.

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Negli ultimi anni la tendenza demografica ha registrato valori negativi che hanno portato il governo di Mosca a mettere in atto delle politiche mirate a scongiurare una crisi demografica. Il numero dei russi all’estero è elevato; la diaspora russa è infatti una delle più importanti al mondo e si concentra in particolare in alcuni Paesi ex Urss: Kazakistan ed Estonia su tutti.

 

Dal 2011 si è verificata in Russia una progressiva restrizione dei diritti fondamentali, tra tutti la libertà di stampa e di espressione. Il governo controlla in maniera diretta o indiretta le reti televisive, mentre molti giornalisti e attivisti per i diritti umani sono vittime di pressioni. Negli ultimi anni si è verificata anche una crescente azione di ostacolo alle organizzazioni non governative critiche nei confronti del governo; nel 2012 sono stati vietati i finanziamenti esteri alle ONG operanti in Russia e ciò ha portato alla chiusura di molte di esse per mancanza di fondi.

Per quanto riguarda il momento elettorale, questa resta una questione delicata e non del tutto trasparente. Nelle presidenziali del 2012, rappresentanti dell’Osce hanno riferito di numerosi brogli. Nelle elezioni parlamentari del 2016 altre accuse di scorrettezze sono state sollevate da varie parti.

Nel giugno 2013 la Duma ha varato all’unanimità una legge che promuove misure repressive contro gli omosessuali, punendo la promozione di orientamenti sessuali non tradizionali presso i minori.

Difesa e sicurezza

L’annessione della Crimea nel 2014 va inserita nel quadro dell’approccio russo nei confronti dell’espansione della Nato. Il governo di Mosca ha sempre visto con diffidenza l’allargamento della Nato, e non ha potuto fare molto quando la Polonia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca e i tre Paesi baltici hanno fatto il proprio ingresso nell’Alleanza Atlantica. La neutralità dell’Ucraina è considerata dalla Russia una condizione minima per la propria sicurezza strategica.

L’interesse russo a mantenere la stabilità e l’influenza nei Paesi limitrofi e vicini si manifesta in numerosi altri aspetti. Mosca ha promosso la creazione dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (CSTO), accordo creato nell’ambito del CIS da Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.

Il Paese possiede inoltre numerose basi militari, poste soprattutto nelle zone ex-sovietiche, oltre che in Siria (dopo l’intervento militare del 2015).

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L’esercito oggi conta circa 800mila uomini e la spesa militare si è attestata sul 4,24% nel 2017. Allo stesso modo, però, dallo scoppio del conflitto ucraino la percentuale del budget nazionale secretata, di cui non è possibile sapere l’utilizzo e le finalità, ha toccato il 22% del totale. Nonostante ciò, le spese militari russe restano di gran lunga inferiori a quelle statunitensi.

Nel 2016 è stata creata la Guardia Nazionale, un corpo (para)militare in funzione antiterrorismo e per il contrasto del crimine organizzato, alle dirette dipendenze del presidente della Repubblica in quanto Comandante supremo delle forze armate.

La Russia detiene inoltre il maggiore arsenale nucleare al mondo, nonostante stia seguendo una politica di riduzione secondo gli impegni sul disarmo del Trattato di non proliferazione nucleare.

 

C’è poi una disputa irrisolta con il Giappone sulla sovranità delle Isole Curili meridionali, occupate dall’Unione Sovietica nel 1945. A ciò si aggiunge il conflitto ucraino e la contesa sul confine tra Mosca e Kiev attraverso lo Stretto di Kerch e il mare d’Azov.

La Russia infine è particolarmente preoccupata dal contrabbando di stupefacenti derivati dal papavero, che dall’Afghanistan circolano attraverso i Paesi dell’Asia centrale.

Passato

Il costituirsi della prima formazione statale degli Slavi orientali, cioè della Rus’ di Kiev, rappresenta il punto d’inizio di tutta la storia russa. I guerrieri scandinavi (Vichinghi e Normanni) superarono il Baltico e dalla Scandinavia mossero verso Sud sfruttando la rete di comunicazioni fluviali per raggiungere le terre dell’Oriente bizantino.

Nel 1561 Ivan IV di Russia (detto il “Terribile”) cominciò a usare il titolo di zar e ad assumere emblemi e predicati imperiali, contribuendo così a creare il mito di Mosca come “terza Roma”.

Durante il regno di Pietro I il Grande (1689-1725), la Russia conobbe un rinnovamento dell’organizzazione militare e civile dello Stato, accanto ai primi segni di sviluppo economico e alla ripresa di una politica espansionistica: questo insieme di fattori pose le basi per la trasformazione del Paese (dal 1721, Impero russo) in una delle principali potenze europee.

Dopo la caduta di Napoleone, la Russia fu tra le potenze protagonisti della politica europea. Giocò un ruolo importante al Congresso di Vienna (1814-15), ottenendo tra l’altro la Polonia. Insieme a Prussia e Austria, inoltre, diede vita alla Santa Alleanza, che ebbe una funzione essenziale nel vigilare sull’ordine internazionale della Restaurazione. Stato fortemente autocratico, la Russia rimase estranea ai moti e alle rivoluzioni che investirono l’Europa nella prima metà dell’Ottocento. L’unica eccezione fu il moto dei decabristi del 1825, represso nel sangue dallo zar Nicola I (1825-55) appena insediatosi al potere.

Una svolta importante fu rappresentata dalla guerra di Crimea (1853-56) contro i Turchi, la Gran Bretagna, la Francia e il Regno di Sardegna. In questo conflitto, infatti, la Russia mostrò tutta la sua debolezza e, una volta sconfitta, ripiegò su sé stessa. Si aprì allora un ampio dibattito tra “occidentalisti” e “slavofili”, cioè tra i fautori delle riforme di stampo occidentale e coloro che invece si opponevano a questa prospettiva in nome delle peculiarità della civiltà russa. Gli stessi vertici del potere zarista, a partire dallo zar Alessandro II (1855-81), presero coscienza della necessità di avviare un processo di modernizzazione che permettesse il superamento della strutturale arretratezza dell’Impero.

Il principale risultato di questa svolta fu, nel 1861, l’abolizione della servitù della gleba. Si trattò tuttavia di una misura insufficiente, che non riuscì a risolvere i problemi dei contadini e quindi a innescare lo sviluppo di una moderna economia.

Nei primi anni del ’900, in alcune regioni del Paese si ebbe un processo di industrializzazione che prese impulso soprattutto dallo Stato e dai capitali stranieri e che nello stesso tempo favorì la nascita di un moderno movimento operaio. Dopo la sconfitta subìta nella guerra russo-giapponese (1904-05), scoppiò la prima rivoluzione russa. Lo zar fu costretto a concedere una Costituzione e si formò un Parlamento (la Duma) i cui poteri furono però progressivamente limitati.

In questo contesto, nonostante alcuni rilevanti tentativi di riforma agraria, acquisirono consistenza importanti gruppi rivoluzionari, tra cui i socialrivoluzionari e i socialdemocratici, che già nel 1902-1903 si erano divisi tra menscevichi e bolscevichi. Queste forze divennero decisive durante la crisi determinata dalla Prima guerra mondiale, a cui la Russia partecipò in alleanza con Gran Bretagna e Francia. La guerra colse il Paese impreparato sul piano militare: le sconfitte subìte e il logoramento morale e materiale costituirono le immediate premesse della rivoluzione del febbraio 1917 (marzo, secondo il calendario gregoriano) che, con l’abdicazione di Nicola II, pose termine al regime zarista.

Il crollo della monarchia aprì la strada a una crisi generale dell’assetto sociale e politico, sfociando nella Rivoluzione d’ottobre e nell’instaurazione del potere sovietico.

La proclamazione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR) fu seguita dalla perdita di ampi territori occidentali già appartenenti all’Impero russo (Finlandia, Paesi baltici, Polonia, Ucraina occidentale, Bessarabia) e dalla nascita di nuove Repubbliche sovietiche (Ucraina, Bielorussia, Transcaucasia) nell’area rimasta sotto l’influenza di Mosca.

L’URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) ebbe come capitale Mosca e come lingua ufficiale il russo, ma la sua complessa struttura etnico-territoriale si sviluppò in gran parte a spese della Repubblica russa. Nel 1954 la Crimea fu ceduta alla Repubblica ucraina.

Malgrado fosse formalmente sullo stesso piano delle altre Repubbliche federate, la politica del Partito comunista al potere tendeva a identificare gli interessi della Russia con quelli dell’URSS nel suo complesso. La maggior parte delle posizioni di rilievo nei gruppi dirigenti sovietici era occupata da russi; la politica economica del governo centrale, inoltre, incoraggiava i russi a emigrare verso le altre Repubbliche federate.

Nel corso degli anni ’80, la crisi progressiva del sistema economico e politico sovietico provocò un indebolimento del potere centrale e lo sviluppo di tendenze nazionaliste e separatiste, in particolare nelle Repubbliche non russe economicamente più avanzate. Questi fenomeni generarono a loro volta una reazione nazionalista e isolazionista presso ampi strati della popolazione russa.

A partire dal 1990, nel quadro del tentativo di riforma dell’Urss condotto da Michail Gorbačëv (dal 1985 Segretario generale del Pcus e dal 1989 presidente dell’Urss), anche nella Repubblica russa fu avviato un processo di autonomia e furono create istituzioni nazionali specifiche.

Nel marzo 1990 fu eletto un nuovo Parlamento russo, che in maggio elesse il leader dei riformatori radicali, El´cin, come presidente del Soviet supremo. Nel giugno dello stesso anno il Parlamento votò una Dichiarazione di sovranità della Russia nei confronti dell’Urss.

Un anno dopo, il processo si consolidò con l’istituzione della carica di presidente della Repubblica (eletto a suffragio universale e dotato di poteri esecutivi) e l’elezione di El´cin. Gorbačëv cercò di far fronte alle spinte nazionaliste e indipendentiste proponendo alle Repubbliche costitutive dell’Urss di sottoscrivere un nuovo Trattato di unione che riconoscesse loro un’ampia autonomia, ma il progetto fu bloccato da un tentativo di colpo di Stato, il cui fallimento aprì la strada alla crisi definitiva del potere sovietico.

Il processo si concluse nel dicembre 1991 con la dissoluzione dell’Urss. Il 25 dicembre dello stesso anno, la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa assumeva la nuova denominazione ufficiale di Federazione Russa.

Dapprima sotto la leadership di El´cin e poi sotto quella di Putin, si è avviato un difficile processo di transizione verso la democrazia e l’economia di mercato, confrontandosi al tempo stesso con le molteplici tensioni nazionalistiche e separatistiche esplose all’interno della Federazione, in particolare in Cecenia.

Presente

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, la Russia entrò a pieno titolo nella coalizione internazionale contro il terrorismo patrocinata dagli Stati Uniti, ottenendo una serie di vantaggi sul piano diplomatico.

La collaborazione tra Mosca e Washington conobbe una prima crisi in occasione della guerra in Iraq, giudicata un errore da Putin.

Le tensioni tra la Russia e il campo occidentale furono alimentate anche dai sommovimenti politici verificatisi in Ucraina (“Rivoluzione arancione”) e in Georgia (“Rivoluzione delle rose”), considerati da Mosca il frutto di inaccettabili ingerenze nella propria sfera di influenza.

Nel 2007 Putin ha fondato un nuovo partito, “Russia unita”, che alle elezioni parlamentari del 2007 ha conquistato il 70% dei seggi della Duma, sancendo l’egemonia del presidente nell’attuale scenario politico.

Le accuse che gli sono state rivolte, di seguire una linea sempre più autoritaria, non ne hanno intaccato la determinazione nel perseguire obiettivi di rilancio del ruolo di potenza e dei sentimenti di orgoglio nazionale.

Il 22 febbraio 2014, pochi giorni dopo la fuga in Russia del presidente ucraino Yanukovich, ritenuto responsabile per la dura repressione delle proteste scoppiate sul territorio ucraino, Putin ordinò l’invasione della penisola di Crimea, giustificandola come azione diretta a proteggere le minoranze russe presenti nella regione, minacciate dallo scoppio del conflitto interno. Il 16 marzo 2014, nonostante le forti condanne e le reazioni dell’Occidente, si è tenuto un “referendum sull’autodeterminazione della Crimea” che ha sancito, con il 97,3% dei voti favorevoli, l’annessione della Crimea alla Federazione Russa.

Nonostante ancora oggi venga considerato illegittimo dal governo ucraino, dall’Ue, dagli Stati Uniti e dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’esito di tale consultazione è stato fortemente sostenuto da Mosca anche grazie a continui rifornimenti alle forze separatiste nelle regioni orientali dell’Ucraina. Tutto questo ha portato a una situazione di stallo in cui nessuna delle forze in campo è disposta a cedere posizioni. Nel settembre 2014 gli sforzi diplomatici hanno portato alla firma del Protocollo di Minsk (o Minsk I) da parte dei separatisti e del governo di Kiev.

In un rinnovato tentativo di risolvere le tensioni, i leader di Ucraina, Russia, Germania e Francia (il cosiddetto “Formato Normandia”) hanno negoziato un accordo di pace nel 2015 noto come “Accordi di Minsk II”, con cui vengono stabiliti degli oneri di caratteri militare e politico al cui rispetto è subordinata la fine delle sanzioni, perlopiù di natura economica.

L’accordo resta ad oggi ancora inattuato, mentre in alcune aree dell’Ucraina continuano sparuti combattimenti armati tra le forze separatiste e quelle governative per la riconquista dei territori.

Nel settembre 2016 si sono tenute le elezioni della Camera bassa (Duma), con la nuova legge elettorale in vigore dal 2015: un sistema elettorale misto che prevede l’assegnazione di metà dei seggi sulla base di un sistema proporzionale e l’altra metà attraverso collegi uninominali. Anche in questa occasione si è registrata una vittoria schiacciante del partito del presidente Vladimir Putin.

Nell’estate del 2008, la crisi con la Georgia per la questione dell’indipendenza dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, e il conseguente intervento armato della Russia, hanno accentuato le tensioni con i Paesi occidentali, in particolare con gli Usa.

Nonostante la crisi ucraina e il conseguente raffreddamento delle relazioni con l’Occidente, Mosca ha giocato un ruolo sia nei negoziati sul nucleare iraniano, conclusi con l’accordo del luglio 2015, sia in Siria, dove nel settembre 2015 è intervenuta militarmente per combattere lo Stato Islamico e offrire sostegno a Bashar al-Assad, con questo dando vita, però, a nuove tensioni con le potenze occidentali.

Futuro

Il governo russo è attivo su molti fronti. In primo luogo guarda alla Cina con un misto di speranza e preoccupazione, bilanciando rischi geopolitici e opportunità economiche. Da un lato, la Cina viene considerata come una potenziale minaccia alla tradizionale influenza russa sull’Asia Centrale e proprio il tentativo di contenere la spinta espansionistica di Pechino è alla base della cooperazione regionale tra i due Paesi attraverso l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) che, fondata nel 1996, comprende anche le Repubbliche centroasiatiche, con l’eccezione del Turkmenistan; dall’altro lato, le opportunità economiche sono principalmente connesse alle possibilità di interdipendenza energetica che la crescita economica della Cina apre al Paese.

Il superamento del sistema bipolare ha poi permesso di approfondire le relazioni con gli interlocutori occidentali. Sebbene l’Alleanza Atlantica abbia resistito al termine della Guerra fredda, creando anche momenti di tensione con Mosca, un certo scollamento si è generato al suo interno proprio in relazione ai rapporti con la Russia.

La Russia di domani non sarà il prodotto di una necessità storica (tanto meno delle sole azioni di Putin), ma di determinate scelte politiche operate dalle élites russe di fronte a ogni bivio storico vissuto negli ultimi 25 anni.

Putin conosce i problemi della Russia: la sua inferiorità militare, la crisi economica, un’élite legata al regime soltanto dalla paura, una gioventù istruita che prima o poi inizierà a chiedere più diritti, oppure finirà con l’emigrare, privando il Paese del suo talento. Ciò che Putin sta cercando di fare è cambiare il sistema, mantenendo intatto il proprio potere.

Se Putin deciderà di percorrere la stessa strada che ha seguito finora (mantenere in piedi un sistema politico ed economico repressivo, continuando un confronto costante e costoso con l’Occidente), il suo sistema di potere rischia di non resistere ancora per molto, e ciò che cerca di presentare come la rinascita del Paese potrebbe in realtà rivelarsi l’ultima fase del suo declino.