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Anagrafica

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Nome ufficiale: Repubblica di Armenia
Capitale: Yerevan
Superficie: 29.800 km2
Densità: 102 ab./kmq
Confini: Georgia, Azerbaigian, Iran, Turchia
Popolazione: 3.038.217
Composizione etnica: Armeni (98,1%), Yazidi (1,2%), Russi (0,4%), Assiri (0,1%), Curdi (0,1%)
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Lingue ufficiali: Armeno (lingua ufficiale), Russo e Curdo
Religioni: Chiesa Apostolica Armena 92,7%; Evangelica 1%; altri 6,9%;
Aspettativa di vita: 74 anni
Tasso di natalità: 14 (nati/1000 ab.)
Scolarizzazione: n.d.
Servizio militare: obbligo di servizio per gli uomini tra 18-27 anni; 2 anni di obbligo di servizio di leva
Unità monetaria: Dram
PIL: 11 miliardi $
Tasso di crescita del PIL: 3,5%
Debito pubblico/ PIL: 55,8%
Export partners: Russia 24,2%; Bulgaria 12,8%; Svizzera 12%; Georgia 6,9%; Germania 5,9%; Cina 5,5%; Iraq 5,4%; UAE 4,6%
Import partners: Russia 28%; Cina 11,5%; Turchia 5,5%; Germania 4,9%; Iran 4,3%

Istituzioni

L’Armenia è una Repubblica parlamentare il cui presidente, dal 9 aprile 2018, è Armen Sarkissian, succeduto a Serzh Sargsyan, capo dello Stato dal 2008. Dal maggio 2018, con rielezione nel dicembre dello stesso anno, il primo ministro è Nikol Pashinyan.

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L’Assemblea nazionale (Azgayin Zhoghov) è composta da un minimo di 132 rappresentanti, eletti direttamente in collegi elettorali con metodo proporzionale, in carica per cinque anni. Attualmente i membri del Parlamento sono 132, non essendoci un limite stabilito né dalla Costituzione né da una legge ordinaria, e le prossime elezioni si terranno nel dicembre 2023.

 

Per quanto riguarda il settore giudiziario, le massime istituzioni sono la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale, quest’ultima composta da 9 giudici.

Sul piano amministrativo, l’Armenia è formata da 11 province, o “marzer”. Ogni “marz” ha un governatore (“marzpet”), con l’esclusione di Erevan, capitale dello Stato armeno guidata da un sindaco.

Economia

L’economia armena si è sviluppata su una base produttiva strettamente legata al settore delle costruzioni e dei servizi. Il Paese dipende fortemente dalla Russia, principale mercato di esportazione e origine delle importazioni. Le rimesse che giungono dalla Federazione Russa sono fondamentali per l’economia armena: nel biennio 2015-2016 esse sono crollate di circa un terzo per effetto della crisi economica che ha colpito Mosca, ma negli ultimi due anni sono tornate a crescere (+19%). Nel 2017 si è registrata una crescita importante del PIL, pari al 3,5%.

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Per quanto riguarda i settori principali, l’industria è certamente il comparto più sviluppato (pur avendo sofferto la chiusura del confine azero-armeno nel 1991).

Dall’ottobre 2014, l’Armenia è entrata a far parte dell’Unione economica eurasiatica (UEE), insieme a Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Russia. Secondo i Paesi membri, questa Unione favorirà la loro integrazione economica, in vista della creazione di un mercato comune. L’Unione non deve quindi esaurirsi in una logica protezionistica ma, al contrario, incentivare uno scambio di investimenti e una riduzione dei termini burocratici.

Società e diritti

La popolazione è composta per la maggior parte di armeni che ne costituiscono, secondo il censimento del 2001, il 97,9% complessivo; il resto comprende curdi (1,3%), russi (0,5%) e altri gruppi presenti in percentuali molto basse (assiri, ucraini, greci e altri ancora). La popolazione curda appartiene principalmente al gruppo religioso degli yazidi. A causa della storia travagliata di questo Paese, sono più gli armeni che vivono all’estero (alcune stime indicano la cifra di 8 milioni) rispetto a quelli residenti entro i confini nazionali (meno di 3 milioni di abitanti), senza contare i discendenti degli emigrati.

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La travagliata storia del popolo armeno ha conosciuto la sua apoteosi all’inizio del ’900. Il genocidio armeno ha da sempre rappresentato un caso particolare ed è stato fonte di continui scontri tra quanti lo hanno riconosciuto e quanti lo hanno negato.

Alcuni si riferiscono al genocidio del 1915-1916 come ad un massacro “scientificamente programmato”, altri (in particolare i turchi) adducono invece diverse giustificazioni per negarlo. Gli interessi politici prevalgono comunque su tutto: chi ammettesse quel genocidio, dovrebbe in seguito fare concessioni politiche.

 

Spesso gli attriti dovuti al negazionismo si sono fatti sentire soprattutto nei rapporti tra la Turchia e l’Armenia, che più volte ha domandato il riconoscimento di quanto è avvenuto. Il silenzio in Turchia però continua e l’ammissione del genocidio armeno è punibile con la reclusione. Non sono mancati i tentativi di riavvicinamento tra i due Paesi, ma il passo decisivo non è mai stato compiuto.

Nell’ambito della comunità internazionale, l’Unione Europea ha riconosciuto il genocidio, così come ha fatto recentemente Papa Francesco. Le proteste di Ankara non si sono fatte attendere: il Papa è stato accusato di approccio non conciliante e di agire sulla base di una discriminazione religiosa.

Difesa e sicurezza

Una delle priorità nell’ottica delle politiche di difesa del governo armeno è quella riguardante la definizione dei confini con Azerbaigian e Turchia. La querelle si è aperta nel 1991, a causa del conflitto nella regione secessionista del Nagorno-Karabakh. Nonostante il “cessate il fuoco” firmato dalle parti in causa nel 1993, ancora oggi non si è giunti a una soluzione del conflitto.

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Queste tensioni hanno di fatto escluso l’Armenia dalle rotte energetiche tra il Mar Caspio e i mercati occidentali, e da qui si spiega la relazione speciale con la Russia di Vladimir Putin. Una dipendenza che si è tradotta nella progressiva cessione della rete infrastrutturale energetica del Paese a imprese russe.

Anche per questo motivo, Yerevan ha cominciato a cooperare in materia energetica con l’Iran, e dal 2009 ha cominciato a importare crescenti quantità di gas, ripagate con esportazioni di energia elettrica e prodotti petroliferi.

Passato

I continui tumulti sfociarono in una vera e propria rivolta, alla quale nel 1894 il sultano Abdul Hamid II rispose uccidendo migliaia di armeni e bruciando i loro villaggi. 3.000 armeni, che avevano trovato rifugio nella cattedrale di Urfa, vennero bruciati vivi.

Gli armeni, per attirare l’attenzione delle altre Nazioni sulla loro causa, nel 1896 assalirono la Banca Ottomana, uccidendo le guardie e facendo prigionieri 140 impiegati che vi lavoravano. La reazione di Hamid II non si fece attendere: massacrò e uccise migliaia di armeni in tutto l’Impero fino al 1897, senza alcuna pietà. Non si trattò certo del primo eccidio del popolo armeno, ma questa volta la vicenda ebbe grande risonanza grazie all’invenzione del telegrafo nel 1890.

Le stime riguardo alle vittime oscillarono tra 80.000 e 300.000.

Cento anni di storia dimenticata, negata, tormentata. Si tratta delle deportazioni, delle uccisioni e dei massacri perpetrati dall’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916 a danno degli armeni. Le stime più diffuse parlano di circa un milione e mezzo di vittime.

Durante gli anni precedenti la Prima guerra mondiale, nell’Impero Ottomano prese il potere il movimento dei Giovani Turchi, i quali accusarono i cristiani armeni di essere alleati della Russia imperiale, con ciò procedendo alla loro deportazione e al loro sterminio.

Nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915 iniziò il massacro armeno: molti intellettuali armeni di Costantinopoli vennero arrestati. Nel mese successivo, giornalisti, poeti, delegati parlamentari armeni furono deportati in Anatolia e massacrati. Da qui iniziò una vera e propria persecuzione degli armeni da parte dei Giovani Turchi. Più di 1.200.000 persone trovarono la morte in seguito a lunghe marce nel deserto siriano, sotto la supervisione dell’esercito turco e di quello tedesco. A migliaia vennero uccisi nei mesi successivi.

Le marce della morte che hanno sterminato gli armeni possono essere considerate un vero e proprio antecedente di quelle naziste.

Il genocidio armeno è considerato il primo genocidio moderno e il primo del XIX secolo.

Le incertezze più grandi, come sempre accade in questi casi, riguardano il numero delle vittime: le cifre generalmente più diffuse indicano numeri compresi tra 1.200.000 e 1.500.000.

Il 24 aprile si celebra la giornata della memoria del genocidio armeno.

Il 4 marzo 1922 l’Armenia venne ufficialmente annessa all’Unione Sovietica, e fu costretta a entrare nella Repubblica Transcaucasica. Fu un momento di forte difficoltà per gli armeni, privati della libertà di parola, impossibilitati a usare simboli o riferimenti nazionalisti.

Nel 1936 l’Armenia uscì da questa Federazione e divenne Repubblica socialista sovietica armena, nota anche come Seconda Repubblica Armena.

Nel 1991, con la dissoluzione dell’URSS, l’Armenia dichiarò la sua indipendenza.

Il 5 luglio 1995, dopo anni di intenso lavoro da parte di giuristi e politici, fu approvata tramite referendum la nuova Costituzione, poi emendata nel 2005.

Tra il 1992 e il 1994 venne combattuta la guerra del Nagorno-Karabakh: da una parte la popolazione armena della regione in questione, appoggiata dalla Repubblica Armena, dall’altra la Repubblica dell’Azerbaigian.

La popolazione del Nagorno-Karabakh, enclave armena in territorio azero, rivendicò la propria indipendenza nel 1991. Dopo la proclamazione ufficiale della Repubblica, il 6 gennaio 1992, cominciarono i bombardamenti azeri sulla regione.

Il conflitto terminò (formalmente) nel 1994, con l’autoproclamazione della Repubblica indipendente del Nagorno-Karabakh, ancora oggi non riconosciuta a livello internazionale.

L’Azerbaigian perse così una grande porzione del suo territorio, pur non smettendo ancora oggi di rivendicare la sovranità sulla regione; l’Armenia, dal canto suo, rivendica il principio dell’autodeterminazione dei popoli.

Presente

L’attuale Repubblica d’Armenia è un Paese giovane, che ha acquisito l’indipendenza d soli 28 anni. Non ha particolari risorse energetiche ed è priva di sbocchi sul mare. È situata su una piccola porzione di territorio, poco meno di 30.000 km2.

L’Armenia è dunque un Paese che sta costruendo faticosamente il proprio futuro e sta pagando le conseguenze del crollo dell’URSS. Ottenuta l’indipendenza, c’è stato un rapido piano di privatizzazioni nel settore agricolo e in quello industriale.

Tutti i progetti sono stati però rallentati dal conflitto con l’Azerbaigian riguardo alla regione del Nagorno-Karabakh. La guerra ha portato alla chiusura dei confini tra armeni e azeri nel 1991; i turchi, alleati della repubblica azera, hanno seguito il loro esempio e hanno chiuso i confini con l’Armenia nel 1993.

Ancora oggi ci sono continue violazioni del cessate il fuoco e la ripresa delle ostilità (soprattutto da parte azzera) è molto frequente. Nel 2014 e nel 2015 molti episodi  portano a un passo da un nuovo conflitto tra Armenia e Azerbaigian; questo si verifica però nell’aprile del 2016. È la cosiddetta seconda guerra del Nagorno-Karabakh: gli azeri sferrano un improvviso quanto deciso attacco nella regione causando centinaia di morti. Il rinnovato conflitto dura soltanto quattro giorni, dal momento che la comunità internazionale (principalmente la Russia e gli Stati Uniti) interviene e mette fine alle ostilità.

Le conseguenze dei problemi in questa regione sono soprattutto economiche: l’Armenia infatti non ha sbocchi sul mare e confina solo con quattro nazioni. Se Azerbaigian e Turchia chiudono i confini, rimangono soltanto altri due partner per l’Armenia, ovvero l’Iran e la Georgia. La questione però non si chiude qui, dal momento che ci sono dei problemi anche per i rapporti con la Georgia.

Nel 1993 si discute per la prima volta del progetto della ferrovia Baku-Tbilisi-Kars: i treni collegherebbero dunque l’Azerbaigian e la Turchia, passando per la Georgia. La ferrovia si collegherebbe poi da Kars (nord-est della Turchia) a Istanbul, arrivando da lì fino all’Estremo Oriente a Pechino: dall’Europa all’Oriente per quella che potrebbe essere una moderna via ferroviaria della seta.

Il progetto doveva essere concluso una prima volta nel 2010; poi viene rimandato di anno in anno e viene ufficialmente inaugurata nell’ottobre del 2017.

Ma dov’è l’Armenia? Il progetto certamente gioverebbe non poco alle relazioni economiche dei tre paesi per cui passerebbe la ferrovia. Ed ecco che molti hanno storto il naso di fronte al progetto: il fine, secondo alcuni, sarebbe quello di isolare l’Armenia. Una marginalizzazione che causerebbe ulteriori problemi ad un paese che sta cercando di riprendersi e di crescere e che costituirebbe una specie di alleanza tra paesi con cui l’Armenia non ha certo ottimi rapporti, una specie di alleanza in chiave anti-armena.

Dai suoi tormentati rapporti con i Paesi confinanti si possono dedurre i motivi della dipendenza armena dalla Russia. Vista la sua delicata posizione geopolitica, l’Armenia è stata costretta a rafforzare la sua alleanza con Mosca, accettando anche basi militari russe nel suo territorio.

L’Armenia però, con tutte le debolezze del caso, è molto più di questo. Negli ultimi anni i suoi abitanti hanno dimostrato di avere una mentalità aperta, spalancando ideologicamente le porte all’Occidente e all’Europa. Sondaggi recenti hanno mostrato come il popolo preferirebbe aderire all’Unione Europea piuttosto che alla CSI (Comunità degli Stati Indipendenti), una federazione formata da alcune repubbliche dell’ex Unione Sovietica.

I ritardi dello sviluppo economico fanno sentire i loro effetti soprattutto sul genere femminile: pare che poco meno della metà delle donne occupate, lavorino nel settore dell’agricoltura.

Il turismo registra sempre ottimi risultati grazie al notevole patrimonio artistico costituito da chiese e monasteri abbarbicati sulle rocce.

L’Armenia fa parte del Consiglio d’Europa dal 2001 e nel 1996 ha aderito all’Accordo di Partenariato e Cooperazione con l’Unione Europea.

Futuro

L’Armenia ha dichiarato l’indipendenza nel 1991. Da allora sono passati pochi anni, ed è logico che siano ancora molte le sfide che il Paese deve vincere.

La risoluzione del conflitto con l’Azerbaigian costituisce certamente una priorità non solo per l’Armenia, ma anche per tutta la comunità internazionale. In secondo luogo i rapporti con la Turchia; ricucirli del tutto significherebbe aprire le porte ad una nuova era, le cui tappe dovrebbero passare necessariamente dal riconoscimento turco del genocidio armeno.

In un prossimo futuro si tenterà probabilmente anche di trovare una soluzione ai circa 17.000 profughi, fuggiti dal conflitto siriano, giunti in Armenia tramite l’Iran.

Metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà e di conseguenza l’instabilità economica deve essere arginata tramite una crescita che dovrà dipendere da fattori interni. L’Armenia sembra infatti contare fin troppo sulle rimesse e sul ricorso al finanziamento estero. La dipendenza dalla Russia è certamente un vantaggio, ma non deve diventare una necessità.

Tuttavia, se pur i passi in avanti da fare sono ancora moltissimi, gli armeni dimostrano oggigiorno di essere un popolo solidissimo, con una forte tendenza autonomista e con una mentalità ideologicamente sempre più aperta, protratta sempre di più verso l’Occidente.