AFGHANISTAN
Anagrafica
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Le elezioni presidenziali tenutesi tra l’aprile e il giugno 2014 hanno creato la figura del CEO, Chief Executive Officer, simile a quella del Primo ministro. Ad oggi, il presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan è Ashraf Ghani, mentre il CEO è Abdullah Abdullah: entrambi in carica dal 29 settembre 2014, hanno formato un governo di unità nazionale composto da 25 ministri nominati dal presidente e votati dall’Assemblea nazionale. Il presidente viene eletto direttamente dalla maggioranza popolare e resta in carica per 5 anni. Le prossime elezioni si terranno nel settembre 2019.
L’Assemblea nazionale bicamerale comprende la Camera Alta (o Meshrano Jirga) con 102 seggi e la Camera bassa (o Wolesi Jirga) con 249 seggi.
Economia
L’Afghanistan è un Paese molto povero e assai dipendente dagli aiuti internazionali. L’intero sistema economico è fortemente ancorato al settore agricolo e risente dello scarso controllo dell’amministrazione centrale su vaste zone periferiche del Paese. Inoltre, non avendo sbocchi diretti sul mare, l’Afghanistan dipende dagli Stati confinanti per l’importazione e l’esportazione dei prodotti, come anche per l’approvvigionamento energetico, posto che da un lato il territorio nazionale è povero di risorse e che, dall’altro, quelle esistenti nelle cosiddette “terre rare” sono difficilmente estraibili per la mancanza dei necessari mezzi. L’Afghanistan non ha petrolio (difatti importato dal vicino Pakistan), e l’estrazione di gas dal sottosuolo soddisfa solo la domanda interna. Nonostante ciò, l’ubicazione geografica consente la partecipazione a diversi progetti infrastrutturali centro-asiatici: un esempio tra tutti è rappresentato dal gasdotto TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India), sostenuto dagli USA, che potrebbe fornire una certa stabilizzazione al Paese.
Società e diritti
La composizione etnica del Paese è tra le più eterogenee al mondo. Decenni di conflitti e tensioni militari hanno spinto un gran numero di afghani a muoversi e ad emigrare. Nel 2001, a seguito dell’intervento internazionale, circa 7 milioni e mezzo di persone hanno lasciato il Paese, spostandosi principalmente in Pakistan e in Iran. Negli anni successivi si è registrato il ritorno di molte di esse, circa 6 milioni secondo le stime, con il trend destinato a proseguire in futuro.
Si calcola poi che tra il 2015 e il 2016 circa 200mila afghani siano giunti in Europa. A queste cifre si deve aggiungere il numero degli sfollati e dei profughi interni, ovvero coloro che si muovono nel Paese, di regione in regione, stimato in 1,8 milioni di persone.
Difesa e sicurezza
La presenza dei gruppi ribelli talebani, specialmente nella zona meridionale del Paese, è il principale pericolo per la sicurezza dell’Afghanistan. Le missioni internazionali, prima ISAF e poi Resolute Support, hanno sostenuto e sostengono il governo centrale nella lotta a questa minaccia. Ad oggi, però, l’offensiva talebana denota capacità operative e numeriche in continua crescita. Si stima che circa il 40% del territorio afghano sia sotto il controllo degli insorti, e questo non si verificava dal 2001. Negli ultimi anni, tra l’altro, si sono costituiti nuclei operativi del sedicente Stato Islamico. Se oggi quest’ultima minaccia sembra essere territorialmente venuta meno, resta il pericolo rappresentato da sacche di talebani con basi operative nelle zone al confine con il Pakistan, a maggioranza etnica Pashtun.
Scenari
PASSATO:
Sin dagli inizi dell’Ottocento l’Afghanistan fu al centro degli interessi strategici e geopolitici delle più grandi potenze. Nel 1887 fu siglato un accordo anglo-russo per definire determinate zone di influenza. Questa intesa venne confermata venti anni dopo, nel 1907, quando si stabilì l’appartenenza dell’Afghanistan all’area di influenza della Gran Bretagna. Nel 1919 scoppiò la cosiddetta terza guerra afghana (le prime due, combattute sempre tra l’Impero Britannico e le forze afghane, si svolsero nel 1839 e nel 1878), che condusse all’indipendenza del Paese.
Nel 1926 l’emiro Amanullah assunse il titolo di re e diede avvio a un percorso volto a modernizzare il Paese. Per questo motivo, la parte più radicale dei capi musulmani lo detronizzò tre anni dopo, dando vita a una violenta lotta per la successione.
A prendere il potere e la carica di re fu Mohammed Nadir Shah, il quale venne però assassinato nel 1933. Gli successe il figlio Zahir Khanm, che tentò di impostare un programma fatto di riforme amministrative, potenziamento dell’economia attraverso piani quinquennali, nuovi impulsi all’agricoltura e al commercio. Furono inoltre firmati anche dei patti di non aggressione con gli Stati vicini.
Nel 1934 l’Afghanistan, divenuta una monarchia costituzionale, entrò a far parte della Società delle Nazioni.
Durante il secondo conflitto mondiale il Paese mantenne inizialmente la neutralità, dichiarando guerra alla Germania nazista solo in un secondo momento. Finita la guerra, nel 1946 avvenne l’ingresso nell’ONU.
Nel 1973 un colpo di stato condusse al passaggio dalla monarchia alla Repubblica. Assumendo il potere, l’ex premier Sardar Mohammed Daud cercò di potenziare il sistema economico con un impulso riformista che non generò i risultati previsti e sperati. Qualche anno dopo, nel 1978, un altro colpo di stato, di matrice comunista, portò al potere prima Taraki, poi Amin e successivamente Karmal. Quest’ultimo fu appoggiato dall’URSS, che decise così di intervenire in maniera diretta, nel ’79, viste le profonde lacerazioni interne allo stesso fronte comunista afghano.
L’intervento militare di Mosca scatenò una guerra civile tra il regime di Kabul, sostenuto dai sovietici, e i nazionalisti islamici (o mujaheddin), appoggiati dagli Stati Uniti che non vedevano di buon occhio l’influenza sovietica nella zona, strategica per l’approvvigionamento energetico del Golfo Persico.
A seguito dei processi di distensione tra USA e URSS negli anni ’80, Gorbacev proclamò nel 1987 il cessate il fuoco e, nel giro di due anni, le truppe sovietiche lasciarono il territorio afghano. Tuttavia, la guerra civile e le tensioni interne non si esaurirono. Dagli inizi degli anni ’90 assunsero un peso sempre maggiore i “taliban” (letteralmente, dal Pashto, “studenti” di teologia), una setta politico-religiosa e militare che ambiva a instaurare nel Paese uno Stato teocratico islamico. I taliban ricevettero il sostegno del Pakistan e degli USA, estendendo il proprio controllo in Afghanistan: occuparono la capitale Kabul nel 1996, strappandola all’Alleanza del Nord dei Mujahedin del Comandante Ahmad Shah Massoud, loro strenuo oppositore. Lo stesso Massoud fu assassinato il 9 settembre 2001, due giorni prima degli attacchi terroristici alle Torri Gemelle. L’ONU e la comunità internazionale tentarono di risolvere la crisi afghana con piani di pace e accordi per la formazione di un governo di unità nazionale, ma i taliban nel frattempo ottennero nuovi successi, instaurando un vero e proprio regime.
In risposta agli attentati dell’11 settembre, gli USA sono intervenuti militarmente con l’operazione Enduring Freedom, hanno rovesciato il regime talebano che proteggeva il terrorista Osama Bin Laden, e avviato un processo di stabilizzazione del Paese. Già dal 2004-2005 i talebani si sono riorganizzati e hanno continuato una lotta, fatta di violenze e attentati, contro le forze internazionali e contro il nuovo governo di Kabul.
PRESENTE:
La missione a guida NATO, denominata International Security Assistance Force (ISAF), si è conclusa nel 2014. Il sostegno alle forze di sicurezza afghane è stato garantito dalla nuova operazione Resolute Support.
La situazione attuale dell’Afghanistan e le dinamiche del quadro politico interno continuano a essere precarie. Nel sud-est del Paese, al confine con il Pakistan, le forze talebane sono presenti e radicate, e proseguono l’azione di contrasto verso il governo centrale di Kabul.
Alla fine del 2019 si terranno le elezioni presidenziali, ma gli apparati statali e governativi appaiono ancora fragili. Nelle aree dove è forte la presenza talebana, essi non riescono a esercitare i loro poteri, al punto che nel prossimo futuro le forze di sicurezza nazionali si ritireranno completamente da alcune zone periferiche.
Kabul controlla oggi circa il 60% del territorio afghano, ma la percentuale sembra destinata a ridursi con il trascorrere del tempo.
FUTURO:
Gli spettri della frammentazione dello Stato e della guerra civile incombono oggi sull’Afghanistan che non pare disporre, per il futuro prossimo, di una soluzione reale. Al di là della presenza militare internazionale sul territorio, sono stati avviati colloqui e negoziati con i talebani. Questa soluzione è fortemente contrastata tra le fila stesse del governo di Kabul, ma riscuote il pieno appoggio di Pechino, che ha già invitato ufficialmente i talebani a sedersi a un tavolo negoziale.
Tra gli stessi insorti ci sono correnti favorevoli ai colloqui diplomatici e gruppi fermamente contrari.
Gli interessi cinesi in Afghanistan sono sempre più evidenti, avendo acquisito concessioni sull’estrazione di terre e minerali rari presenti nel sottosuolo.
Gli USA, al contrario, stando alle dichiarazioni rilasciate dal presidente Trump alla fine del 2018 e all’inizio del 2019, fanno intendere che ci sarà un progressivo ritiro delle forze statunitensi dal territorio afghano, ove combattono dall’ormai lontano 2001.