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Artico

Introduzione

L’Artico, o meglio Artide, è infatti l’area circostante il Polo Nord, prevalentemente occupata dalla calotta artica. Tuttavia, è errato pensare all’Artide come all’Antartide: quest’ultima, diametralmente opposta, è caratterizzata da una massa continentale definita, mentre l’Artide è delimitata convenzionalmente, avendo la comunità scientifica posto il limite in corrispondenza del Circolo Polare Artico (latitudine 66° 33′ 44″ Nord. Questo confine, dunque, include porzioni di territori di più continenti (America, Asia ed Europa). I Paesi interessati direttamente ai territori dell’ Artico sono: USA, Canada, Russia, Norvegia, Islanda e Danimarca (Groenlandia).

La differenza con l’Antartide non è solo “geografica”, ma anche – e soprattutto – politica: tutta l’area dell’Artico, infatti, appartiene al regime delle acque internazionali, e le risorse naturali sono perciò considerate patrimonio dell’umanità. Gli stati bagnati dall’Oceano Artico esercitano la loro sovranità sulle loro acque territoriali fino ad una distanza di 24 miglia, che peraltro contengono la maggior parte delle risorse naturali ad oggi note, fatto che limita le dispute sulle rivendicazioni: attualmente ce ne sono 2 in vigore, una tra USA e Canada sul Mare di Beaufort, l’altra tra Canada e Danimarca sull’isola Hans.

La regione è abitata in larga misura da due gruppi etnici principali: il primo è quello degli Inuit, stanziati nella fascia dell’America settentrionale e della Siberia, l’altro – più numeroso – è quello  degli Yupik, che vivono in Alaska.

Interessi geo-strategici

Il particolare interesse mondiale per la regione artica nasce in tempi relativamente recenti, in seguito al celebre scioglimento dei ghiacci, che da una parte ha reso più facile l’accesso alle enormi risorse naturali del sottosuolo, dall’altra ha agevolato e incrementato le importanti rotte commerciali che consentono collegamenti tra Europa e Asia assai più rapidi ed economici rispetto ai tradizionali itinerari meridionali. Per la particolare situazione politico-giuridica descritta sopra, tuttavia, riesce difficile parlare di “sistema economico artico”, come se si trattasse di un unico soggetto. Risulta dunque più adeguato parlare di opportunità economiche per un singolo paese in seguito alla sua presenza nella regione: in tal senso, è interessante vedere i risvolti economici della presenza italiana nella regione, molto più forti di quanto si potrebbe credere.

Le grandi imprese italiane, tra cui ENI e Fincantieri, hanno infatti molti interessi in vari settori: petrolchimico, navale e tecnologico

Innanzitutto, come detto, la questione delle risorse. Per quanto riguarda il petrolio, di cui i giacimenti artici sono ricchi, l’Italia è direttamente interessata in qualità di paese produttore: chiaramente i suoi livelli sono lontani da quelli di altri paesi membri del Consiglio Artico (come Norvegia, Russia e USA), attestandosi intorno ai 40 milioni di barili annui – circa il 7% della domanda interna. La compagnia energetica nazionale italiana, ENI, è attiva in questa regione da più di quarant’anni, attestandosi oggi come player pienamente maturo: un esempio è dato dal Goliath, giacimento petrolifero nel Mar di Barents gestito proprio da ENI, nonché dalle ottime relazioni con le autorità e le comunità locali e dall’attenzione al tema ambientale dei luoghi in cui opera (aspetto essenziale in un ambiente così fragile come quello di cui stiamo parlando). ENI è coinvolta attivamente nei vari comitati e task forces che si occupano di salute, sicurezza, ambiente e corretta gestione delle procedure operative, al fine di tutelare la regione: questo lavoro è svolto principalmente in collaborazione con l’International Association of Oil & Gas Producers (OGP), che nel 2012 ha lanciato il “Joint Industry Project on Arctic Oil Spill Response Technology”.

ENI non è l’unica azienda italiana attiva in questo settore: basti pensare ad Edison, il secondo gruppo di oil and gas in Italia, la cui presenza è ormai consolidata in Norvegia.

Un altro settore di eccellenza italiana è quello dell’Hi-tech, che nella regione artica trova la sua declinazione nella produzione di elicotteri utilizzati per le operazioni di ricerca e recupero (SAR, Search And Rescue). Questi elicotteri sono prodotti dalla compagnia anglo-italiana Finmeccanica Helicopters (fino al 1° Gennaio 2016 chiamata AgustaWestland), e la loro principale qualità è proprio la capacità di operare in contesti resi complessi dalle condizioni climatiche e atmosferiche.

Altro gigante italiano che opera nell’area è Fincantieri: nel 2012 ha acquisito la norvegese Vard, diventando così il quarto gruppo di produzione navale nel mondo (i primi tre sono della Repubblica di Corea). Fincantieri si sta specializzando nella produzione di navi adatte a circostanze estreme, come quelle che si incontrano nella regione artica, come la “Crown Prince Haakon”, che sarà ultimata nel 2017 e consegnata al Norwegian Polar Institute.

La presenza italiana nella regione, tuttavia, non è affidata solo alle grandi imprese come quelle citate finora. Anzi, un ruolo importante è attribuito proprio alle piccole-medie imprese, fattore di eccellenza dell’economia italiana, che spesso operano in cluster e distretti industriali, così da coniugare in uno stesso soggetto sia l’economia di scala delle grandi compagnie, sia la flessibilità dei piccoli imprenditori: uno dei principali settori in cui operano è proprio quello energetico, ad esempio per quanto riguarda la fornitura di petrolio e gas.”.

Scenari futuri

La ‘’Polar Rush’’ si sta svolgendo sotto traccia. Gli interessi in gioco, specialmente sul lungo periodo, sono altissimi. I paesi che si stanno muovendo maggiormente in questa direzione sono Russia e Cina, che intendono assicurarsi una posizione di vantaggio sia per lo sfruttamento delle risorse energetiche presenti nell’Artico che per il controllo delle nuove rotte mercantili, che si stanno aprendo a causa dello scioglimento dei ghiacci. La Russia, in quanto membro del Consiglio Artico, è attratta in misura sempre crescente dalle risorse naturali della regione e dalla possibile estensione dello spazio geopolitico a suo favore nel nostro pianeta. Non è un caso che stia incrementando e rafforzando le basi di soccorso, in particolare nella vasta penisola siberiana dello Yamal, per le navi container che dovrebbero andare a rifornire partner commerciali come il Giappone, risparmiando in tal modo almeno il 40% del tempo rispetto alle ormai consolidate rotte a sud. La Cina del resto, pur non facendo parte del Consiglio Artico, ma partecipando ad esso come osservatore esterno, ha preso la decisione di costruire un’ambasciata a Reykjavìk, capitale della repubblica islandese, in grado di ospitare fino a 500 persone, a dimostrazione del fatto che gli obiettivi politici cinesi sono sempre più grandi in quest’area.

Si può già prevedere nel futuro prossimo una completa militarizzazione della regione artica? Certamente chi sta investendo oggi in questa zona, avrà innumerevoli vantaggi geostrategici ed economici nei prossimi 10-15 anni. Si tratta di una politica che non darà frutti nell’immediato, ma soltanto nel medio-lungo periodo. Quindi non appare strano che la Groenlandia cominci ad avanzare sempre più frequentemente richieste indipendentiste nei confronti della Danimarca, comprendendo che il progressivo scioglimento dei ghiacciai faciliterà le attività di estrazione mineraria. Rimangono invece ancora in disparte e poco interessati nei riguardi dell’Artico gli Stati Uniti, nonostante facciano parte del Consiglio Artico come membro fondatore dal 1991. Probabilmente ancora per poco, se si considerano le mire egemoniche sulla regione da parte della Russia di Putin.

L’Europa, dal canto suo, non può permettersi di restare indietro in un’area dal così grande potenziale economico e strategico. Una nazione che ha dimostrato negli ultimi anni un vivo interesse per gli sviluppi politici della regione artica, è l’Italia: il nostro paese è stato infatti nominato nel 2013 come osservatore permanente nel Consiglio Artico. Si tratta per l’Italia di un importante riconoscimento, alla luce del grande impegno italiano nella regione sia in ambito scientifico – è da tener presente la costruzione di piattaforme osservative come la “Climate Change Tower” a Ny Alesund nelle isole norvegesi Svalbard – sia nel campo economico grazie agli investimenti dell’Eni in programmi di estrazione in Russia e Norvegia. Da pochi mesi l’Eni ha dato il via alle attività della piattaforma galleggiante “Goliat” al largo della Norvegia, in grado di arrivare ad estrarre fino a 100 mila barili al giorno, confermandosi in quell’area come uno dei leader nel settore energetico. Colossi come Eni e Fincantieri si spendono anche per il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei trasporti marittimi (Oilspill) e per la riduzione dell’impatto ambientale in un ecosistema particolarmente fragile a causa del riscaldamento globale.

Questo insieme di cose altro non è che la base su cui costruire una importante e fruttuosa collaborazione con i paesi dell’Artico. Condurre e creare gruppi di collaborazione e di amicizia con i parlamenti islandesi e norvegesi, risulta una strategia vincente se si ha la volontà concreta di perseguire una politica comune nell’Artico.

Anche oggi i rapporti tra Italia e Artico sono intensi, non fosse altro che per il fatto che una rilevante comunità italiana vive nella regione, presenza che si esprime in importanti ruoli artistico-culturali di nostri concittadini.

Tra i membri del Consiglio Artico vi sono: Russia, Stati Uniti, Canada, Norvegia, Svezia, Finlandia, Islanda e Danimarca. A questi Stati si aggiungono i membri osservatori permanenti, tra cui figura l’Italia assieme a Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Italia.

Per ovvie ragioni, il nostro Paese, così come l’Europa intera, deve porre attenzione al tema della militarizzazione dell’Artico, portata avanti silenziosamente ma inesorabilmente in modo particolare dalla Federazione Russa, scenario che può modificare gli equilibri geopolitici e della sicurezza internazionale. La Russia infatti ha sovranità su gran parte delle terre comprese nella regione artica, tanto da garantirle nell’Oceano Artico una presenza molto superiore ai due principali competitor, ossia Canada e – soprattutto – Stati Uniti: ciò le permette il controllo delle rotte e, di conseguenza, un vantaggio comparato in termini di sfruttamento delle risorse naturali.

Se finora, tuttavia, la conflittualità regionale era rimasta di bassa intensità, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci, come detto in apertura, può disegnare nuovi scenari, aprendosi a possibilità prima inesplorate. Non è un caso che la Cina abbia aperto la propria più grande ambasciata (può accogliere fino a 500 diplomatici) proprio a Reykjavík.

Un tema interessante in quest’ottica può essere la volontà politica della Groenlandia di separarsi dal Regno di Danimarca, da cui attualmente dipende (insieme alle isole Far Øer): ciò toglierebbe all’Europa la sovranità su una vastissima (e ricchissima) porzione di territorio artico.

 

 

Sono diverse le sfide a cui la comunità internazionale è chiamata per evitare che il delicato equilibrio dell’Artico si spezzi.

Salvaguardia dell’ambiente

In primis, quella ambientale, da una parte per preservare la regione, la cui biodiversità si distingue per delicatezza, dall’altra per salvaguardare l’intero pianeta, a causa dell’alta influenza che l’Artico esercita sulla temperatura globale.

Da questo punto di vista, la diffusione e il consolidamento della pratica di utilizzo di gas naturale liquefatto come carburante nei mari del nord ha permesso un impatto ridotto sull’ambiente: tale progresso deve essere consolidato, ad esempio implementando la presenza di stazioni di rifornimento. Una pratica simile e complementare, in cui peraltro l’Italia è all’avanguardia della ricerca, è quella del gas naturale compresso.

Ricerca scientifica

L’Artico è fondamentale per la comunità scientifica: ad esempio, quest’area consente una più facile raccolta di dati astronomici rispetto ad altre parti del mondo, il che è rilevante per l’indagine satellitare; o ancora, è importante il tema della vulcanologia, che tra l’altro collega direttamente Islanda e Italia per la loro natura di unici paesi europei con vulcani attivi.

Il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) gestisce le nostre basi scientifiche sia nell’Artide che nell’Antartide; a Ny-Ålesund, nelle isole Svalbard, è situata la base Dirigibile Italia, dove si conduce ricerca in biologia marina e geologia artica. Sempre a Ny-Ålesund c’è la Amundsen-Nobile Climate Change Tower, che dal 2009 studia l’atmosfera e l’impatto sul suolo delle radiazioni solari.

Molte istituzioni scientifiche sono coinvolte nella regione artica. L’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), che partecipa al Network for the Detection of Atmospheric Composition Change (NDACC); l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana), che gestisce Cosmo Skymed, un ambizioso programma di osservazione satellitare terrestre; l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che sta conducendo ricerche sull’evoluzione dei ghiacciai in Groenlandia e sulla variazione del campo geomagnetico nel Mare di Barents; l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale – basato a Trieste – presente nella regione delle Svalbard con la nave Experta.

 

Cooperazione intergovernativa

Le opportunità di collaborazione sono diverse. Una di queste è l’Iniziativa Centro Europea, forum di cooperazione regionale che ha sede a Trieste e che comprende membri della regione baltica e del Consiglio Euro-Artico. L’Iniziativa ha tre aree di cooperazione: politica, economica e sociale. In conclusione, per consentire una pacifica ed efficace gestione delle opportunità fornite dalla regione artica, è essenziale il tema giuridico. Il rispetto del diritto internazionale, e nel caso specifico del diritto marittimo e delle convenzioni sulla protezione dell’ambiente, è essenziale. A tal fine, è da sottolineare lo sforzo del Consiglio Artico, che ha promosso la stesura di vari trattati e convenzioni internazionali in materia.