Nell’80, alla morte del maresciallo Tito (unico vero collante dello stato jugoslavo), le tensioni sotterranee affiorarono in superficie, acuite dal pieno manifestarsi della crisi economica. In pochi mesi lo standard di vita regredì a quello di quindici anni prima: l’esasperazione popolare, fomentata dai vari nazionalismi, funse da detonatore. La prima regione a scoppiare fu il Kosovo, poi la Slovenia e la Croazia. Tra il ‘91 e il ‘92 fu la volta della Bosnia: la sua profonda natura multietnica fu la causa dell’efferatezza dei molti attori in gioco, tra tutti i serbi guidati da Milosevic.
Con lo scoppio della guerra, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite emise due Risoluzioni: la 713, con cui stabiliva un embargo di armi nella regione, e la 757, in cui disponeva l’istituzione di una forza navale per monitorarne l’esecuzione. In risposta a quest’ultima, la NATO istituì l’Operazione “Maritime Monitor”. In seguito alla Risoluzione 781 del 9 ottobre 1992, nella quale il CdS vietava voli militari sopra la Bosnia-Erzegovina e invocava supporto alla propria missione UNPROFOR, la NATO decise il 15 ottobre di utilizzare a tale fine gli aerei di “Maritime Monitor”: il giorno seguente cominciava ufficialmente l’Operazione “Sky Monitor”.
I velivoli NATO operarono su due diverse orbite: sopra i cieli del Mare Adriatico, dal 16 ottobre, e su quelli dell’Ungheria, dal 31 ottobre (dopo che il governo ungherese diede il permesso, oltre alla garanzia di assistenza militare in caso di attacco ai velivoli dell’Alleanza). Da entrambe le aree il controllo dei cieli bosniaci era effettuato h24. Il primo volo sopra l’Ungheria passò alla storia della NATO come la prima missione operativa in uno Stato ex-membro del Patto di Varsavia.
Inizialmente furono utilizzati i mezzi della NATO AEW basata a Geilenkirchen (Germania), ma in seguito vennero usate anche le basi di Aviano, Trapani e Preveza (Grecia). Con l’aumentare degli impegni, vennero utilizati anche l’VIII Squadrone della RAF e lo Squadrone E-3F francese da Avord (Francia). Queste forze NATO furono sottoposte all’autorità del “Allied Forces Southern Europe Command” (l’attuale “Allied Joint Force Command”, a Napoli), comandato dall’Ammiraglio Jeremy Boorda della marina statunitense. All’invio di personale contribuirono 11 paesi membri dell’Alleanza: Belgio, Canada, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Norvegia, Portogallo, Turchia e Stati Uniti.
Le regole d’ingaggio per la missione erano molto restrittive: trattandosi di monitoraggio alle unità fu impedito di rispondere al fuoco, intraprendendo azioni d’evasione se attaccate. Anche per queste strette regole, nessuna forza NATO ingaggiò alcun combattimento durante l’operazione.
“Sky Monitor” rilevò numerose violazioni (più di 500, da tutte le fazioni) della no-fly zone. Nel constatare che il divieto delle Nazioni Unite era inefficace. Il 18 dicembre 1992, i membri della NATO votarono per far rispettare la no-fly zone con la forza militare, se richiesto dalle Nazioni Unite anche con il sostegno cruciale del Presidente Clinton). La richiesta ONU di procedere arrivò il 31 Marzo 1993 con la risoluzione 816: pertanto la NATO terminò “Sky Monitor”, avviando l’Operazione “Deny Flight”.
“Sky Monitor” fu la prima operazione aerea NATO nei Balcani, essendo così anche la prima fuori dalla propria area. Inoltre, fu una delle prime missioni in collaborazione dell’ONU, potendo questi fare affidamento sull’expertise dell’Alleanza Atlantica per un proprio hard power.