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Anagrafica

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Nome ufficiale: Repubblica del Kosovo
Capitale: Pristina
Superficie: 10.887 km2
Densità 175 ab/km2
Confini: Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Serbia
Popolazione: 1.907.592
Composizione etnica: Albanesi 92,9%; Bosniaci 1,6%; Serbi 1,5%; Turchi 1,1%; Ashkali 0,9%; Egiziani 0,7%; Gorani 0,6%; Rom 0,5%; Altri 0,2%
Forma di governo: Repubblica parlamentare
Lingue: Albanese (ufficiale) 94,5%, Bosniaco 1,7%, Serbo (ufficiale) 1,6%, Turco 1,1%, Altri 0,9%,
Religioni: Islam 95,6%, Chiesa Cattolica 2,2%, Ortodossi 1,5%, Altre 0,07%, Nessuna 0,07%, Non dichiarata 0,6%
Aspettativa di vita: n.d.
Tasso di natalità: 2,2 (nati/1000 ab.)
Servizio militare: n.d.(Il Kosovo non ha forze armate)
Scolarizzazione: n.d.
Unità monetaria: Euro
PIL: 7,094 Miliardi
Tasso di crescita del PIL: n. d.
Debito pubblico/ PIL: 21,2%
Export partners: Albania (16%), India (14%), Macedonia (12,1%), Serbia (10,6%), Germania (5,4%), Svizzera (5,6%) – (2017)
Import partners: Germania (12,4%), Serbia (12,3%),Turchia (9,6%), Cina (9,1%), Italia (6,4%), Macedonia del Nord (5,1%), Albania (5%), Grecia (4,4%) – (2017)

Istituzioni

Autoproclamatosi indipendente dalla Serbia il 17 febbraio 2008, al 2016 è stato riconosciuto come Stato indipendente da 115 dei 193 Paesi membri dell’Onu e gode del deciso sostegno di 3 dei 5 membri del Consiglio di Sicurezza (Usa, Inghilterra, Francia). Allo stesso tempo però, è anche forte la presa di posizione di Russia (che ha fatto pure ricorso al veto in talune circostanze) e Cina, a difesa della posizione della Serbia che considera il Kosovo una regione autonoma del suo territorio.

All’interno dell’Unione europea, 23 dei 28 Stati membri ne riconoscono l’indipendenza. Da rilevare la tendenza comune ai Paesi che non hanno seguito tale approccio, essendo gli stessi che vivono a loro volta problemi interni con regioni autonome: Spagna, Cipro, Grecia, Romania e Slovacchia

Secondo un parere fornito nel 2010 dalla Corte internazionale di Giustizia, che non ha riguardato una valutazione sul possesso o meno della qualifica statale da parte del Kosovo, la dichiarazione di indipendenza non ha violato il diritto internazionale, risultando così formalmente legittima.

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La Repubblica del Kosovo è una Repubblica democratica di tipo parlamentare, con capitale Pristina.

La Costituzione, entrata in vigore l’anno della dichiarazione di indipendenza e non riconosciuta dai separatisti del Kosovo del Nord, prevede un organo legislativo monocamerale: l’Assemblea della Repubblica del Kosovo. I 120 membri del Parlamento eleggono sia il Primo ministro, confermando i ministri da egli stesso nominati, sia il presidente del Kosovo.

Nonostante il fatto che il Kosovo sia quasi totalmente governato dall’amministrazione locale, taluni ambiti sono ancora di competenza esclusiva dell’UNMIK, l’Amministrazione provvisoria dell’Onu istituita nel 1999, che assiste il governo nell’attuazione delle linee guida delle Nazioni Unite. Tali settori riguardano specialmente la difesa, la sicurezza interna e i rapporti con il Kosovo del Nord.

La Serbia continua a rifiutare l’indipendenza del Kosovo, esercitando la propria giurisdizione principalmente nel nord e, marginalmente, in alcune enclave nel sud del Paese. Nell’aprile 2013 i due Paesi hanno raggiunto un accordo finalizzato alla normalizzazione dei loro rapporti, con il supporto dell’Unione europea. Attualmente il processo di stabilizzazione sta continuando.

 

Il Kosovo è intenzionato a raggiungere la piena condizione di Stato all’interno della comunità internazionale. Ragion per cui ha avviato rapporti bilaterali e concluso accordi per avvicinarsi progressivamente alle condizioni di accesso a Organizzazioni internazionali e regionali come le Nazioni Unite, l’Unione europea e la Nato.

Economia

Nonostante il Kosovo abbia ereditato un’economia in condizioni di sottosviluppo, negli ultimi anni il governo di Pristina ha raggiunto risultati significativi nella transizione verso un sistema di mercato che, tuttavia, dipende ancora necessariamente dal supporto della Comunità internazionale per sopravvivere.

Provenendo da un ambito prettamente agricolo, la debole economia del Paese è oggi essenzialmente sostenuta dal settore dei servizi (60% del PIL), con i comparti industriali e agricoli troppo deboli per produrre a sufficienza e per sostenere una normale dialettica economica con altri Stati partner. Il Kosovo, infatti, esporta meno di qualsiasi altro Stato dell’Europa, in larga misura prodotti agricoli e materie prima di basso valore, mentre l’import riguarda quasi tutti gli ambiti merceologici.

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Il settore finanziario è in espansione grazie agli sforzi dell’esecutivo, e tramite il supporto della comunità internazionale appare ben alimentato. Di conseguenza, anche il ricorso al credito da parte delle famiglie, come pure da parte delle imprese, risulta in aumento. Nonostante i segnali positivi, la situazione del Kosovo continua a essere molto arretrata rispetto agli standard regionali, a causa dei profondi problemi strutturali che rendono inadeguate le industrie e i settori della comunicazione e dei trasporti. La stessa somministrazione di energia elettrica in maniera continuativa alle industrie non risulta garantita.

Le prospettive sul lungo termine riguardano la strutturazione di un sistema economico a trazione commerciale e industriale. A tal fine, sono state emanate leggi per incentivare i capitali esteri attraverso garanzie legali a livello degli standard europei.

La Strategia di sviluppo delle PMI (2012-2016) e la Strategia di sviluppo del Settore Privato (2013-2017) sono inoltre finalizzate a promuovere una cultura imprenditoriale e a valorizzare l’economia Kosovara sul piano internazionale.

 

Lo sviluppo economico degli ultimi anni sta provocando un cambiamento nella composizione della popolazione, che sta lentamente abbandonando le campagne per trasferirsi nelle aree urbane, principalmente attorno alla capitale.

Il reddito pro capite dei cittadini del Kosovo rimane tra i più bassi d’Europa (2.500 dollari) e il tasso di disoccupazione – intorno al 40% – sommato al grande numero di poveri – circa il 30% della popolazione vive sotto la soglia di povertà – hanno favorito il sorgere di attività illegali nel territorio. Gran parte della popolazione kosovara vive in città rurali fuori dalla capitale, e l’emigrazione è un problema particolarmente sentito dal governo, vista la fragilità dello Stato. Alcune stime sull’economia sommersa e illegale segnalano indici di incidenza che hanno raggiunto anche il 50%, rendendo ancor più difficoltosa la valutazione complessiva sullo stato dell’economia kosovara.

Società e diritti

Agli inizi del’900, quando il Kosovo faceva ancora parte dell’Impero ottomano, gli albanesi costituivano i due terzi della popolazione. Alla fine della Prima guerra mondiale, con la nascita del Regno di Jugoslavia, la popolazione albanese scese al 65,8%, mentre quella serba raggiunse il 26%. Agli albori del Secondo conflitto mondiale, la politica serba di ripopolazione della provincia provocò l’aumento percentuale della popolazione serba al 34,4%, a fronte di una componente albanese pari al 62,2%.

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Negli anni della Repubblica federale socialista jugoslava, la popolazione albanese ha sempre continuato a crescere a una media di +0,34% l’anno, sino a costituire agli inizi degli anni Novanta l’81,6% della popolazione. Di contro, i serbi sono diminuita sempre più, con un tasso annuo del -0,42%, raggiungendo, al momento della disgregazione dell’ex Jugoslavia, una cifra corrispondente all’11,1%. Secondo i dati del censimento 2011, la popolazione è per il 92,9% di etnia albanese, per l’1,6% bosniaca, per l’1,5% serba, per il 4% rappresentata da gruppi minori.

I kosovari-albanesi hanno il più alto tasso di crescita della popolazione d’Europa, tanto che in 82 anni, dal 1921 al 2003, sono cresciuti di 4,3 volte e, ritenendo costante un tasso simile, si può prevedere che vengano raggiunti i 4 milioni e mezzo di persone nel 2050.

 

La corruzione, i traffici illeciti e soprattutto il crimine organizzato sono i problemi più gravi che devono essere affrontati dal governo. La libertà di espressione risulta di fatto limitata a causa della mancanza di sicurezza.

Difesa e sicurezza

A 10 anni dalla proclamazione dell’indipendenza, il Kosovo non dispone ancora di un proprio esercito. A tal riguardo, il 21 gennaio 2009 è nata la Kosovo Security Force (KSF), grazie all’aiuto e all’addestramento degli esperti Nato, con l’invio di 2500 soldati e 800 riservisti.

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Il 14 dicembre 2018 il Parlamento ha approvato all’unanimità la proposta di creazione delle Forze armate del Kosovo che conteranno su 5mila soldati e 3mila riservisti.

 

Anche l’Unione europea è impegnata in favore del Kosovo e tramite la missione civile ‘’EuLEX’’ contribuisce all’edificazione di un sistema giuridico, investigativo e di controllo doganale della neonata Repubblica.

Passato

Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, i Balcani vennero invasi dalle truppe italo-tedesche: il Kosovo e la parte occidentale della Macedonia furono occupate militarmente dall’Italia e successivamente unite all’Albania fino a quando, dopo la resa dell’Esercito italiano nel settembre ’43, i territori albanesi non rimasero occupati dalle truppe tedesche intente a realizzare una Grande Albania nazista. Fallita l’esperienza, nel 1944, gli albanesi finirono per frammentarsi al loro interno proprio sulla base della questione della resistenza comunista al nazismo.

Il ventennio 1946-1966 segnò per il Kosovo nuove fasi di repressione, e solo con la nuova Costituzione jugoslava, varata nel 1963, la stretta si allenterà. Nel 1966 gli abanesi del Kosovo ottennero finalmente una reale autonomia, con l’ampliamento del sistema scolastico e l’inizio di attività universitarie in lingua albanese.

La Lega dei Comunisti Jugoslavi e lo stesso maresciallo Tito riconobbero progressivamente la necessità di una politica di eguali opportunità per evitare un nuovo proliferare del nazionalismo albanese sempre più presente e sempre più intenzionato a vedere risorgere il sogno di una Grande Albania.

Con l’avvento del 1968, la regione si infiammerà nuovamente con la richiesta da parte degli albanesi di trasformare il Kosovo in una Repubblica indipendente, la settima della Federazione jugoslava. Seguirono scontri e tensioni che porteranno la Jugoslavia, nel 1974, ad approvare la sua terza riforma costituzionale: il Kosovo, pur rimanendo una provincia autonoma della Serbia, venne riconosciuto come uno dei soggetti costitutivi della Jugoslavia stessa, con una propria Carta costituzionale, un proprio governo, un proprio Parlamento, propri organi giudiziari e un proprio sistema scolastico. Lentamente, la percentuale di albanesi presenti nella Lega dei Comunisti, partito unico della Jugoslavia, cominciò a crescere. Il Kosovo, però, restò una provincia arretrata, povera e sottosviluppata, nonostante fosse destinatario, a partire dagli anni Cinquanta, delle risorse sempre crescenti del Fondo Federale per le regioni meno sviluppate.

Con la morte del maresciallo Tito, nel 1980, gli studenti fomentarono nuove manifestazioni, rivendicando non solo migliori condizioni di vita ma, soprattutto, l’indipendenza della “Repubblica del Kosovo”. I violenti scontri provocarono decine di morti, centinaia i feriti, migliaia di arresti. Una nuova, violenta ondata di repressione tornò ad abbattersi sul Kosovo e in migliaia furono incarcerati con l’accusa di cospirazione. Due nazionalismi violenti, opposti e uguali, iniziarono a innestarsi nei territori della provincia.

Nel 1987 Slobodan Milošević, allora leader della Lega dei Comunisti di Jugoslavia in Serbia, venne inviato in Kosovo a fini di pacificazione. Tuttavia egli prese ben presto le parti dei serbi, dichiarando pubblicamente che “mai più nessuno potrà toccare un serbo”, e accreditandosi quindi come un leader nazionalista agli occhi dell’opinione pubblica. Egli riuscì negli anni successivi a far revocare (in modo non del tutto costituzionale) gran parte dell’autonomia ottenuta dal Kosovo.
Il 28 giugno 1989, Milošević, nel frattempo divenuto presidente della Repubblica di Serbia, pronunciò un violento discorso contro le persone di etnia albanese, assimilandole ai turchi ottomani e segnando così l’avvio di una nuova politica di ri-assimilazione forzata della provincia, corroborata da nuove privazioni in termini di diritti civili.

Reagendo in un primo momento secondo approcci improntati alla non violenza, gli albanesi boicottarono le nuove istituzioni ufficiali, provvedendo in via autonoma ai propri fabbisogni (anche scolastici) e dichiarando autonomamente l’indipendenza della Repubblica del Kosovo all’inizio degli anni ’90, riconosciuta solo dall’Albania.

Presente

Negli anni successivi, nuovi innesti di profughi in Kosovo, operati dal governo serbo nel tentativo di modificarne l’equilibrio demografico, provocarono lo sdegno di diversi Paesi, che prosegui fino al 1995, momento in cui, dopo la fine della guerra in Bosnia-Erzegovina, una parte degli albanesi kosovari scelse la lotta armata indipendentista. Guidati dalla Ushtria Çlirimtare e Kosovës (UCK), un’organizzazione che si avvalse anche di veterani di guerra, gli indipendentisti si macchiarono però di una serie di crimini indiscriminati non solo verso la popolazione kosovara slavofona, ma anche verso quella componente kosovaro-albanese rimasta neutrale e pertanto giudicata colpevole di tradimento.

A questa nuova spirale di violenza, il governo di Belgrado rispose con altrettanta determinazione e, visto che la questione del Kosovo non era stata sollevata dalle potenze occidentali intervenute nella regione con gli accordi di Dayton, Miloševič si sentì con le mani libere per dare inizio alla sua politica repressiva contro i kosovari di etnia albanese: si registrarono veri e propri massacri di civili, distruzioni di case, scuole e luoghi di culto. Circa 11.000 albanesi, secondo stime parziali, restarono uccisi, altri 800.000 furono costretti a fuggire verso Albania e Macedonia, ove si rifugiarono anche i vari combattenti dell’UCK che avrebbe continuato a fomentare ribellioni nella regione fino a quando, nel 1999, non esplosero in vero e proprio conflitto armato. L’intervento di alcune forze internazionali in difesa della componente albanese del Kosovo pose fine alla pulizia etnica, e le due parti vennero invitate a trovare una soluzione comune.

In base alle Risoluzione 1244/99 del CdS dell’Onu, in Kosovo si sono insediati un governo e un Parlamento provvisorio sotto il protettorato internazionale UNMIK e Nato e, negli anni successivi, la situazione sarebbe andata lentamente normalizzandosi.

Dal 2006, dopo la morte del presidente Rugova, vennero avviati nuovi negoziati tra la delegazione kosovara serba e albanese sotto mediazione Onu per la definizione del futuro status della provincia. Nonostante numerosi incontri tra le parti, il piano finale previsto non fu mai condiviso. Nel frattempo, grazie a una nuova fase di democratizzazione della Serbia, il governo di Belgrado garantì al Kosovo lo status di ‘’Provincia Autonoma’’.

L’Unione europea, nel 2008, ha approvato l’invio in Kosovo della missione civile “EULEX”, sostituendola a quella Nato, per favorire la transizione del Paese verso un assetto adeguato alla modernità. Si registrarono comunque proteste fondate sul presupposto dell’assenza di un mandato diretto da parte dell’Onu. La stessa Russia definì l’iniziativa non conforme al dettato normativo disposto in Consiglio di Sicurezza.

Il 17 febbraio 2008, riunitosi in seduta straordinaria, il Parlamento di Pristina ha approvato la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, adottando propri simboli nazionali. Il discorso pronunciato dal premier Thaci delinea una Repubblica democratica, secolare e multietnica, fondata sulla legge. Passati nemmeno dieci minuti da quella proclamazione, il governo di Belgrado ha dichiarato illegittima e illegale simile rivendicazione.

Su posizioni contrarie anche la Russia e la Cina, entrambe dotate di potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che mai si è pronunciato in favore dell’indipendenza kosovara, ritenendo formalmente valida la risoluzione 1244/99. Ad oggi, la quota dei riconoscimenti internazionali ha raggiunto le 115 unità.

Futuro

Con la ratifica della nuova Costituzione, controfirmata dal capo della missione “EULEX”, si è aperta una nuova pagina nella storia del Kosovo. Esso viene ritenuto in linea con gli indirizzi proposti dagli Stati europei: la Costituzione infatti dispone l’assetto di diritto tipico delle società occidentali moderne, sancendo che il governo di Pristina si impegnerà ad attuare una Stato laico, rispettoso delle libertà di culto e in grado di garantire pienamente i diritti di tutte le comunità etniche locali. A fronte dell’assenza di un’organizzazione statale pienamente definita, le forze internazionali continuano a mantenere le proprie truppe sul territorio, con scopi di formazione e protezione. Con la ratifica, inoltre, si è chiusa la fase di operatività della missione “UNMIK”, attraverso il passaggio di consegne alla missione “EULEX”.

Con la Costituzione del 2008 alcuni poteri esecutivi tenuti dall’UNMIK sono inoltre stati trasferiti al governo kosovaro, la cui autorità, tuttavia, non è stata ancora riconosciuta nel Kosovo del Nord, nonostante i vari tentativi operati dalla comunità internazionale sui piani della legittimazione e della stabilizzazione.

Secondo il governo serbo infatti, la risoluzione 1244 si applicherebbe unicamente sui territori del “Kosovo a maggioranza albanese”.

La questione è stata affrontata dalla Corte Internazionale di Giustizia, massimo organo giurisdizionale dell’Onu, che nel luglio 2010 ha affermato che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo non viola il diritto internazionale né la risoluzione 1244 del CdS. Il parere è stato tuttavia criticato, in quanto la risoluzione subordinava al la soluzione della crisi al rispetto della sovranità serba, che viene considerata lesa sia dall’intervento Nato che dalla missione “UNMIK”.

Il 9 settembre 2010 l’Onu ha approvato una risoluzione messa a punto dalla Serbia e dall’Unione europea che ha aperto la strada ai negoziati tra Belgrado e Pristina e che ha avuto come risultato, nel 2013, la sottoscrizione di un accordo, promosso dall’Ue, tra i governi di Belgrado e Pristina. Sulla base di tale accordo, la Serbia, seppur continui a non riconoscere l’indipendenza del Kosovo, ne riconosce comunque l’autonomia, conferendo indirettamente una qualche legittimità alle pretese del governo kosovaro. Cruciale anche per i negoziati del futuro rimane comunque la posizione dei serbi del Kosovo del Nord: ad essi il governo di Pristina ha riconosciuto una certa autonomia, comunque inquadrata all’interno delle istituzioni della Repubblica del Kosovo.

Territorio soggetto a una crescente presenza delle forze dell’ISIS, arretrato economicamente e attraversato da grandi rischi di violenti disordini interni, il Kosovo rimane ad oggi uno Stato giovane che deve far fronte a molteplici sfide. La posizione lungo la rotta balcanica e la sua stessa storia ne fanno però un attore che sarà inevitabilmente coinvolto nei mutamenti geopolitici regionali. Nonostante l’apparente continuo avvicinamento ai Paesi membri o vicini all’Alleanza Atlantica, ad oggi il Kosovo non ha ancora raggiunto quel grado di stabilità, sviluppo e credibilità nazionale necessari ad una normalizzazione dei rapporti diplomatici. Rapporti che con l’Occidente, vista la presenza delle forze internazionali sul territorio (sia in campo militare sia come supporto istituzionale) e vista la dipendenza del governo di Pristina dal credito estero, rimarranno solidi fino a quando la Repubblica del Kosovo si dimostrerà capace di attuare le riforme necessarie a trasformare uno Stato arretrato in un Paese moderno.