America Latina
Introduzione
Il continente sud-americano è composto da 12 stati. In realtà non è ufficialmente un continente, viene infatti considerato un sub-continente o una macro regione all’interno dell’immenso continente americano. Quando invece si parla di America Latina bisogna fare attenzione a differenziare le due cose. Questo termine infatti venne usato per la prima volta alla meta del XIX secolo e indica l’area che comprende tutti i paesi, sud-americani ma anche dell’America centrale, i quali furono conquistati e colonizzati da popolazioni provenienti da nazioni latine, quali la Spagna, il Portogallo e la Francia. Sono 22 gli stati che generalmente vengono riconosciuti come componenti dell’America Latina. Tendenzialmente se ci si trova davanti ad una cartina geografica si possono facilmente individuare le nazioni latine, partendo dal Messico e scendendo verso sud, con alcune piccole eccezioni.
L’America Latina dal secondo dopoguerra, e soprattutto negli anni della Guerra Fredda, è stata in diversi periodi al centro dei riflettori mondiali per vari eventi o motivi: tra tutti la rivoluzione cubana negli anni ’50 e la crisi missilistica, sempre a Cuba nei primi anni ’60, tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica; non bisogna scordarsi però anche la Guerra delle isole Falkland tra Argentina e Gran Bretagna nella primavera del 1982, o anche il problema del narcotraffico gestito dai cartelli della droga messicani e colombiani che dagli anni ’80 in poi ebbero un posto di rilievo nelle cronache di tutti i continenti.
Dagli anni ’90 in poi invece, complice anche lo svilupparsi di diversi conflitti o di crisi in altre zone e regioni del mondo come il Medio Oriente o l’Asia, l’America centrale e quella meridionale sono scivolate nel dimenticatoio, quasi ignorate. Negli ultimissimi anni invece il sub-continente è risalito alla ribalta per la crisi economica che sta attraversando molti dei suoi Stati e anche per alcune crisi politiche, tra tutte quella recente nel Venezuela di Maduro.
Interessi geo-strategici
I paesi dell’America Latina hanno da sempre subito la forte influenza statunitense; nel corso degli anni gli Stati Uniti hanno coltivato i propri interessi nelle aree meridionali del continente, sia per esempio per difendersi da presenze minacciose sovietiche nel corso della Guerra Fredda, ma anche per assicurarsi, in maniera più spregiudicata, diversi vantaggi economici. Negli ultimi anni, in special modo con l’amministrazione Obama, gli USA hanno allentato la presa sui Paesi latino-americani, anche per merito delle stesse nazioni che hanno saputo ottenere una maggiore indipendenza e autonomia.
Questa autonomia è spesso derivata dalla guida politica di questi Paesi: leader di forze socialiste, di centro sinistra, i quali avevano sfruttato l’onda del boom economico, e avevano fatto parlare dell’intera regione come nuova patria del socialismo. Lula in Brasile, Chavez in Venezuela erano solo alcuni dei presidenti in carica portatori di questa politica. Da qualche anno invece le forze conservatrici e di destra stanno prendendo il posto delle forze di sinistra: Panama, Guatemala, Argentina, Haiti, Honduras, Cile, Perù, Costa Rica, Paraguay e Brasile.
Il 2018 è stato, su questo verso, un anno cruciale per molti Paesi latino-americani, un anno di elezioni (soprattutto presidenziali) e di referendum. Le popolazioni di Messico, Brasile, Colombia, Perù, Ecuador, Cuba, Costa Rica, El Salvador e lo stesso Venezuela, si sono recate alle urne per decidere i propri leader e quindi stabilire una linea politica. Anche nel 2019 si terranno diverse elezioni presidenziali, in Argentina, Uruguay e Bolivia, che incideranno sulla mappa politica della regione.
Un riferimento e un approfondimento particolare spettano al Brasile, lo stato più grande e popoloso del Sud America. Alla fine del 2018 è stato eletto come presidente il conservatore Jair Bolsonaro, che ha sconfitto Fernando Haddad, il delfino dell’ex presidente Lula. Da subito Bolsonaro ha avviato una politica di riavvicinamento agli USA di Trump, sostenendo come il Paese fosse cambiato con la sua elezione e che gli Stati Uniti, con lui al potere, avessero trovato un amico fidato. Trump ha addirittura promesso l’appoggio della sua amministrazione alla richiesta del Brasile di poter entrare nell’Organizzazione per la Cooperazione e Sviluppo Economico (OCSE) e ha dichiarato di guardare con particolare attenzione ad un possibile ingresso del Brasile tra gli alleati strategici militari della NATO. Questo asse USA-Brasile sarà sicuramente importante per il futuro di tutto il continente americano.
Un altro passo fondamentale di una svolta che si sta compiendo all’interno dello scacchiere sud-americano è avvenuto nel febbraio del 2019. A Santiago del Cile infatti, sette presidenti della regione, di Cile, Colombia, Argentina, Brasile, Ecuador, Paraguay e Perù (assieme al rappresentante della Guyana) hanno creato una nuova organizzazione regionale, di orientamento conservatore, chiamata Prosur, “Foro para el progreso de America del Sur”. Questo organismo ha di fatto formalizzato la fine dell’Unasur, l’organizzazione multilaterale promossa dall’ex presidente venezuelano Hugo Chavez più di dieci anni fa. I nuovi presidenti hanno abbandonato la vecchia Unasur perchè oppressa dall’ideologia di sinistra che ormai ha lasciato il campo alla controparte conservatrice in quasi tutta la penisola. Anche se gli stessi presidenti fondatori hanno promesso che sarà uno strumento di cooperazione e dialogo senza nessuna ideologia di fondo.
Ad interrompere questa politica di allontanamento degli Stati Uniti nei confronti dell’America Latina, oltre al riavvicinamento al Brasile di Bolsonaro, è stata in particolar modo la crisi politica ed economica del Venezuela. La crisi socio-economica è cominciata intorno al 2010, quando era in carica l’allora Presidente Chavez, la crisi politica più grave e recente invece si è scatenata dopo l’elezione presidenziale nel maggio 2018. Questa tornata elettorale ha visto trionfare Maduro per il suo secondo mandato, ma i risultati sono stati fortemente contestati sia dall’opposizione sia da vari organismi internazionali, che hanno definito le elezioni una farsa. A quel punto il presidente dell’Assemblea Nazionale del Paese, Juan Guaidò, si è proclamato presidente ad interim sostenendo che Maduro non fosse stato democraticamente eletto. Gli USA hanno subito riconosciuto il presidente Guaidò schierandosi contro Maduro, il quale, come facilmente prevedibile, è stato prontamente appoggiato da Russia e Cina. Il rischio di una guerra civile nel Paese tra i sostenitori di Maduro e quelli di Guaidò, con le varie interferenze straniere, è alto. Ad aggravare questa situazione ci sono anche le condizioni economiche critiche in tutto il Paese. Sono quasi quattro milioni le persone che, dal 2014, sono scappate dal Venezuela, fuggendo dalla fame, dalla violenza e affollando i confini soprattutto con la Colombia e l’Ecuador. Quella venezuelana è una crisi umanitaria senza precedenti in tutta la regione, e che non vede una facile risoluzione nell’immediato futuro.
A complicare ulteriormente il quadro, e ad aumentare gli interessi strategici nell’area dell’America Latina, ci si è messa la Cina con la sua espansione economica globale. Sono infatti diversi i paesi caraibici ad aver aderito al progetto cinese della “Belt and Road Initiative”: Antigua e Barbuda, Barbados, Suriname, Trinidad e Tobago, Guyana e per ultima la Giamaica. Un chiaro segnale di come la Cina voglia rafforzare la sua presenza nell’area dell’America Centrale e non solo. In Sud America infatti i paesi che hanno aderito alla “Nuova Via della Seta” sono Uruguay, Cile, Venezuela e Panama. E’ chiaro come la Cina sia interessata all’America Latina per le sue grandi risorse naturali, agricole ed energetiche: il petrolio venezuelano, la soia argentina e brasiliana. La Cina inoltre, usa gli ormai consueti investimenti infrastrutturali per “insediarsi” in una regione. L’acquisizione, tanto discussa in Europa, di alcuni porti, è avvenuta e sta avvenendo anche in Sud America, come testimoniano i casi di Chancay in Perù e di Paranagua in Brasile. Inoltre le relazioni e gli accordi che Pechino ha stretto bilateralmente con Panama, riguardo anche il noto canale, sono particolarmente rilevanti per il progetto cinese. La Cina insomma sta spingendo i propri orizzonti, fatti di investimenti ed acquisizioni, arrivando in un’area come quella latino-americana, in cui fino a qualche tempo fa la presenza ed il controllo degli USA era totalizzante.
Altro elemento necessario da citare quando si parla di America Latina è, purtroppo, il narcotraffico. La produzione di sostanze stupefacenti, specialmente marijuana e cocaina, è un’attività ben radicata in molti paesi sud-americani. Il particolare clima e le condizioni geografiche, rendono infatti il Sud America la zona più favorevole per la produzione di stupefacenti in tutto il mondo. Il narcotraffico è inoltre gestito da organizzazioni criminali più o meno grandi che in determinate zone detengono un vero e proprio potere sulle popolazioni. E’ sicuramente uno dei più grandi problemi che dilaniano l’America Latina. Basti pensare che il traffico di cocaina produce circa 500 miliardi di dollari di profitti annualmente. Ad oggi il Messico è diventato l’epicentro dello spaccio di tutta l’America, anche grazie alla sua posizione geografica di “vicino” degli Stati Uniti, cioè del principale consumatore di stupefacenti al mondo. Le bande, i gruppi, i cartelli criminali presenti in Messico sono tra i più sanguinari di sempre, e si rendono protagonisti di omicidi e violenze che ormai purtroppo sono all’ordine del giorno. Anche la Colombia, che fino ai primi anni ’90 fu la patria del tristemente leggendario cartello di Pablo Escobar, ad oggi ha un’importante parte di tutta la ricchezza del Paese che proviene dalla produzione di cocaina sul proprio territorio. Gli Stati Uniti nel corso degli anni hanno dichiarato guerra più volte al narcotraffico, ma i vari cartelli della droga, anche se hanno subito qualche duro colpo, sono più attivi che mai.
Scenari futuri
In tutta l’America Latina sono diverse le situazioni che vedranno uno sviluppo nel prossimo futuro. Per prima la crisi in Venezuela, con Maduro attualmente ancorato al potere grazie anche all’appoggio di Russia e Cina, e con gli Stati Uniti pronti ad un intervento di qualsiasi genere. Lo spostamento generale a favore di una linea conservatrice nelle ultime tornate elettorali in tutta la regione sud-americana caratterizzerà sicuramente un cambiamento politico, di cui la nascita del “Prosur” è solamente un fattore. Gli Stati Uniti dovranno sicuramente reagire in qualche modo all’espansionismo della Cina, più o meno aggressivo, in tutta l’America Latina; Trump, ma anche il suo successore, dovranno tenere d’occhio la politica di Xi Jinping a meno che non vogliano farsi “sfilare” il cosiddetto “giardino di casa”.
Con tutta probabilità insomma l’America Latina da ora in avanti non sarà più il sub-continente dimenticato dall’attenzione pubblica mondiale, ma tornerà ad essere, speriamo in maniera positiva, una regione di grande importanza geopolitica.