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Conflitti religiosi nel mondo

Introduzione

Una guerra di religione, secondo il vocabolario Treccani, è una guerra che ha per causa divergenze in materia di fede religiosa. Questa definizione è sicuramente esatta ma, seguendo questa linea, vorrebbe significare che quasi tutte le guerre potrebbero classificarsi in questo modo. La domanda, che in molti nel corso della storia si sono fatti, è: quanto è realmente importante il fattore religioso o confessionale tra le cause dei vari conflitti?

In maniera generale si può essere d’accordo sul ritenere la religione un fattore rilevante quando si parla di molti conflitti, anche contemporanei. Gli studiosi e gli analisti hanno cercato però di differenziare le spiegazioni teoriche dei conflitti influenzati dal “sacro”. Le principali teorie riguardo la relazione tra religione e violenza sono: quelle primordialiste, le strumentaliste, le costruttiviste.

Le teorie primordialiste, o essenzialiste, sostengono che le differenze tra le varie tradizioni religiose, e culturali, siano tra le principali motivazioni autentiche dello scoppio di conflitti tra Stati o gruppi di individui. Più differenze ci sono, più probabili saranno le conflittualità e le violenze tra i due sistemi.

Le teorie strumentaliste, invece, ritengono che le religioni non sono causa vera di conflitti, ma che possono però aggravarli, aumentandone l’intensità. I conflitti, secondo queste teorie, sarebbero scatenati da motivazioni economiche e sociali, o da tensioni territoriali. In questi casi il fattore religioso sarebbe usato da determinati leader per usufruire dell’appoggio popolare e indirizzarlo contro un nemico nel nome di una contrapposizione religiosa/confessionale. In questo modo i conflitti, generati da altre cause, sarebbero portati all’inasprimento e ad una radicalizzazione non originaria.

Le teorie costruttiviste sono concordi con quelle strumentaliste nel ritenere materiali le cause scatenanti di un conflitto. Il fattore religioso però, oltre alla capacità di inasprire lo stesso conflitto, secondo le teorie costruttiviste, avrebbe anche l’effetto di poter contribuire alla sua fine e di accelerare un processo di distensione.

Nel corso dei secoli molti conflitti sono avvenuti o si sono inaspriti per ragioni religiose. Una parte fondamentale è stata recitata dalla religione, ma appare difficile ritenere la religione come causa primaria di una guerra. Se si guarda semplicemente alla religione cristiana non si possono non citare le Crociate, che dall’undicesimo secolo fino al tredicesimo, hanno visto i principali paesi del continente europeo inviare crociati contro gli invasori musulmani, con l’obiettivo ufficiale di riconquistare Gerusalemme e la Terra Promessa. Non si può però pensare che tutto questo sia stato mosso “solamente” da interessi religiosi. Erano infatti in ballo forti interessi economici, commerciali e strategici. Andando più avanti nel sedicesimo e diciassettesimo secolo troviamo le guerre di religione francesi tra cattolici e protestanti ugonotti, e la Guerra dei Trent’anni, anche questa tra le due sopracitate confessioni. Anche in questi casi però erano in gioco interessi diversi. In tempi più recenti e attuali si può citare la controversa e annosa questione dell’Irlanda del Nord, le cui divisioni tra protestanti e cattolici, si inseriscono in problematiche sociali e storiche importanti riguardanti i rapporti con la Gran Bretagna.

Nel mondo islamico poi, la contrapposizione tra gli sciiti ed i sunniti, è secolare e tristemente famosa. Attualmente infatti gli scontri e le tensioni presenti in tutto il mondo musulmano si potrebbero ricondurre, in parte, a motivazioni religiose. In questo filone si colloca il concetto di “jihad”, ovvero “guerra santa”, il quale è salito alla ribalta in varie occasioni a partire dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

Interessi geo-strategici

In tutto il mondo esistono guerre di religione attualmente in corso? Proprio per quello scritto poco più su è difficile, soprattutto oggi, definire una guerra semplicemente di religione. Purtroppo, quello che si può dire sicuramente, senza paura di essere smentiti, è che in tutto il mondo sono in atto diverse persecuzioni contro minoranze religiose o confessionali.

 

I cristiani oggi sono il gruppo di fede maggiormente perseguitato. Secondo la World Watch List 2019, pubblicata da Porte Aperte, sono stati uccisi, tra la fine del 2017 e la fine del 2018, 4305 cristiani. Invece circa 300 milioni di essi subiscono atti di persecuzione, e un cristiano ogni 7 vive in un Paese di persecuzioni, secondo il Rapporto sulla libertà religiosa di ACS presentato alla fine del 2018. In totale sono stati riconosciuti 38 paesi in cui vengono registrati gravi violazioni della libertà religiosa. In 21 di essi sono verificati veri e propri atti di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. I restanti 17 invece sono Stati e luoghi dove avvengono o sono avvenute negli ultimi anni atti di discriminazione: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Russia, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Turchia, Ucraina e Vietnam.

Analizzeremo ora, in maniera sicuramente non esaustiva, alcune delle situazioni relative alle persecuzioni e discriminazione religiose dei principali paesi appena menzionati.

 

In India si registrano sempre più atti di violenza nei confronti delle minoranze religiose; sicuramente questi fatti sono collegati all’aumento del nazionalismo aggressivo, l’ultra-nazionalismo. Il Vhp (Hindu Jagran Manch), per esempio, è un gruppo ultra-nazionalista indù, legato al governo centrale, e negli ultimi mesi si è reso responsabile di alcune riconversioni più o meno forzate di centinaia di cristiani. Nelle elezioni del maggio 2019 è stato confermato Narendra Modi, con il suo Bjp (Baratiya Janata Party – Partito del Popolo indiano) alla guida del Paese, e questo fa temere per le condizioni delle varie minoranze religiose indiane. Il pericolo di ritornare indietro, anche solo di qualche anno, scuote le comunità. Basti pensare che sono passati poco più di dieci anni dai gravissimi attacchi anticristiani nello stato di Orissa nel 2008, in cui furono uccisi più di 100 persone e in cui migliaia di case e chiese cristiane furono distrutte.

In Cina la situazione è simile. Il regime di Xi Jinping diventa sempre più oppressivo con il passare degli anni. Nell’arco di tempo preso in considerazione nella World Watch List, menzionata precedentemente, si è registrato un incremento assoluto di cristiani imprigionati: 1131, rispetto ai 134 dell’anno precedente. Il nuovo Regolamento per gli Affari religiosi, è entrato in vigore nel febbraio 2018, ed impone nuove restrizioni ai gruppi religiosi. Le chiese, ma in generale diversi enti cristiani, vengono fatte chiudere, le cerimonie e le funzioni sono controllate; in alcuni casi l’accesso è vietato ai minori di 18 anni.

Sempre in Cina è presente un’altra minoranza, etnica-religiosa, che viene duramente perseguitata dal governo centrale: gli Uiguri. Questa etnia, turcofona e di fede prevalentemente musulmana, è presente nella regione dello Xinjiang da millenni. E’ una comunità separatista, che dagli inizi degli anni 2000, ha dovuto subire una profonda campagna di repressione, fatta passare come lotta al terrorismo interno. Dal 2017 i pochi milioni di Uiguri subiscono una repressione feroce: detenzione in campi di “educazione professionale” o di “addestramento contro l’estremismo”, un indottrinamento profondo, non solo per i reclusi ma per tutti, “rieducazione” dei membri della comunità islamica. Tutto ciò è fatto grazie ad un importante uso delle tecnologie più avanzate come sistemi di sorveglianza all’avanguardia. Addirittura ci sono stati controlli porta a porta per vedere se la gente avesse del materiale religioso.

Tutto questo si spiega andando oltre la possibile contrapposizione verso le minoranze religiose. La regione dello Xinjiang, dove risiedono da secoli gli Uiguri, è un territorio ricco di fonti energetiche, di gas naturale, di carbone e di petrolio, il quale rappresenta circa il 20% del potenziale energetico cinese. Non ci si mette molto a capire quindi che il governo centrale cinese sta facendo e farà di tutto, andando anche contro il rispetto dei diritti umani, per rimanere in pieno controllo della regione, stroncando sul nascere qualsiasi tentativo di separatismo o autonomia.

Una situazione simile attraversa ormai da decenni la regione del Tibet. Anche lì la volontà di mantenere in controllo dell’area da parte del governo cinese è assoluta; il Dalai Lama, considerato da Pechino come espressione di un sistema medievale, ha rinunciato all’ipotesi del Tibet indipendente, cercando di ottenere una qualche forma di autonomia dalla Cina.

 

Altro esempio, probabilmente il più eclatante in fatto di persecuzione, nei confronti dei cristiani soprattutto, è quello della Corea del Nord. Non potendo avere dati esatti, si stima che i cristiani detenuti in veri e propri campi di prigionia possano essere fino a 200mila, con l’accusa di aver organizzato o partecipato ad incontri di preghiera o ad attività simili. I cristiani infatti sono relegati nell’ultima delle categorie sociali in cui si divide la società nordcoreana; da decenni infatti sono visti nel Paese come spie delle forze occidentali, e quindi nemiche del Paese e del regime. A Pyongyang si può essere torturati, rinchiusi o uccisi per il semplice fatto di possedere una Bibbia in casa o sul luogo di lavoro. Alla fine del 2018 il dittatore Kim Jong-un ha aperto alla possibilità di un viaggio di Papa Francesco nello stato nordcoreano, cosa che ha fatto storcere il naso a molti, vista l’evidente contrapposizione con le politiche fortemente repressive nei confronti dei cristiani all’interno del Paese.

 

Per quanto riguarda il Pakistan, è finito sotto l’occhio dell’opinione pubblica occidentale, e italiana in particolare, fino a qualche mese fa, il caso di Asia Bibi, cittadina cristiana condannata a morte nel 2010 per blasfemia e assolta solamente nel 2018, dopo anni di prigionia. Nell’ordinamento giuridico dello Stato sono state introdotte, negli anni ’80, leggi sulla blasfemia. In pratica un musulmano può accusare qualsiasi persona (musulmana, cristiana o di qualsiasi altra religione) di profanare il nome di Maometto, avendo anche la possibilità tramite giudizi sommari di punire il reo. Il Pakistan inoltre è un mosaico etnico, linguistico e religioso, dove anche nella stessa maggioranza musulmana convivono, in maniera spesso anche violenta, le due componenti sunnita e sciita. In alcune zone del Paese sono ancora presenti e attivi veri e propri tribunali religiosi; negli ultimi anni si sono verificati casi di lapidazione per adulterio. Inoltre non sono rare le conversioni forzate all’Islam di adolescenti e ragazze: circa 1000 ragazze cristiane e indù ogni anno vengono rapite e convertite.

Anche in Afghanistan la situazione dei cristiani è molto grave. La Repubblica islamica dell’Afghanistan infatti non permette a nessun cittadino afghano di diventare cristiano, nè riconosce i convertiti come tali, ma come apostati. Questo vuol dire che i cristiani afghani non possono vivere apertamente la propria fede. Anche il controllo dei talebani, sempre più pressante e sempre in più parti del territorio nazionale, condiziona molto la vita dei cristiani, così come la criminalità organizzata impegnata nella produzione di oppio nel Paese.

Per rimanere nel continente asiatico troviamo una situazione gravissima sul piano umanitario in Myanmar. Nello stato di Rakhine, al confine con il Bangladesh, risiedono i Rohingya, un gruppo di fede musulmana che appartiene agli strati più poveri della popolazione. I Rohingya non vengono riconosciuti dal governo birmano il quale li ha sempre considerati una minaccia alla razza e alla religione, nel Paese a maggioranza buddista. Non possono accedere all’istruzione secondaria, subiscono limiti alla libertà di movimento e sono oggetto di terribili violenze, specialmente da parte dell’esercito birmano. Essi vivono in campi sovraffollati, tanto che negli ultimi anni in centinaia di migliaia sono fuggiti, e continuano a fuggire, in Bangladesh, dando vita a campi profughi enormi. Secondo l’Alto commisariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (UNHCHR) è in atto un vero e proprio genocidio.

Per analizzare anche la situazione in un altro continente arriviamo al caso nigeriano. In Nigeria la popolazione è divisa in termini religiosi: per circa il 50% musulmana, i cristiani si dividono in protestanti per il 26% e i cattolici con il 14%. Il resto della popolazione segue religioni tradizionali. Nelle regioni centrali del Paese avvengono ripetutamente scontri per il controllo delle terre e delle risorse idriche tra pastori e agricoltori, divisi tra le etnie Hausa-Fulani (musulmani) e i Berom (cristiani). Nello stato di Plateau le violenze sono molto frequenti, anche a causa della desertificazione in corso dei territori. Il fattore religioso quindi si inserisce all’interno di problematiche ben diverse. Nel giugno del 2018 più di un centinaio di cristiani sono stati massacrati dai pastori Fulani. Inoltre vengono attaccate chiese e villaggi cristiani, i cui abitanti devono scappare, alimentando il fenomeno migratorio. Nella fascia settentrionale del Paese sono stati uccisi nel 2018 quasi 3700 cristiani, a causa della loro fede, sempre secondo il rapporto World Watch List.

In questo contesto si inserisce il fenomeno del fondamentalismo islamico di Boko Haram. L’organizzazione terroristica, influenzata dal wahabismo, che ha importanti collegamenti con altre organizzazioni al di fuori della Nigeria, come Al Quaida e lo Stato Islamico, si è resa e continua a rendersi protagonista di tremende violenze e attacchi jihadisti nel Paese. Anche in questo caso, vengono praticati lo stupro e la conversione forzata delle donne, come purtroppo già menzionato in precedenza.

Anche in Etiopia l’Islam radicale sta crescendo, soprattutto in alcune zone del Paese. Nelle zone rurali è facile che ai cristiani siano negati diritti o libertà religiose. Nell’agosto del 2018 sono stati uccisi più di 10 cristiani e alcune chiese sono state incendiate.

 

I fondamentalisti islamici in Iraq, in Siria e in altri paesi del Medio Oriente, compiono quotidianamente violenze e attacchi contro le comunità cristiane del proprio Paese. In Iraq i cristiani sono drasticamente diminuiti; nel giro di poco più di 40 anni, infatti, sono passati da circa due milioni alla fine degli anni ’70 ai meno di 400mila di oggi. Le persecuzioni degli estremisti condannano i fedeli cristiani a scegliere tra il convertirsi all’Islam, pagare ingenti quantità di denaro per poter rimanere nel territorio, senza però poter professare la propria fede, oppure scappare. Anche, e soprattutto, nei territori controllati dalo Stato Islamico i cristiani erano costretti a fuggire dalle violenze e dai saccheggi che i miliziani del Califfato, perpetravano nei loro confronti. Quando, recentemente, il Califfato ha perso il controllo dei territori conquistati, molte famiglie cristiane sono potute ritornare nei loro luoghi di origine.

Scenari futuri

Le persecuzioni dei cristiani, e di diverse minoranze etnico-religiose, in molte parti del mondo purtroppo sarà un fenomeno che caratterizzerà ancora l’intero globo nei prossimi decenni. La cosa che fa riflettere è che in alcuni casi nel cosiddetto Occidente democratico e civilizzato non se ne parla neanche. Papa Francesco in diverse occasioni ha cercato di porre al centro dell’attenzione pubblica situazioni critiche relative alle comunità cristiane, e non solo, sparse nel mondo, ovviamente auspicando soluzioni pacifiche e integrative.

Il diffondersi di gruppi islamisti radicali, soprattutto in Paesi dell’Africa, in Medio Oriente e in Asia, dove in alcuni casi manca un forte apparato centrale statale, è il principale motivo per cui soprattutto i cristiani vengono resi bersagli di violenze e discriminazioni a causa della fede religiosa. Non solo loro, però, perchè anche le faide all’interno del mondo islamico e musulmano sono, purtroppo, all’ordine del giorno. La divisione storica tra la componente sunnita e quella sciita è nota, ma anche le diverse correnti esistenti al loro intenro non si risparmiano violenze. Oggigiorno sono molti di più i musulmani che vengono uccisi da altri musulmani, rispetto ai cristiani o ai fedeli di altre religioni.

Nel mondo, attualmente, diverse guerre e conflitti forniscono l’ambiente nel quale le minoranze vengono perseguitate. E’ quasi banale sottolineare come la religione e le confessioni devono essere un fattore di unione e non di divisione, e il saper rispettare ogni minoranza etnico-religiosa è uno dei segni distintivi di vera democratizzazione di un Paese. Non solo quindi l’intera comunità internazionale deve impegnarsi a fermare le persecuzioni e le violenze nei confronti di ogni minoranza religiosa, ma deve anche riuscire a riconoscere pari dignità e diritto alla libertà di coscienza.